Fermo, le calzature al Pitti conquistano i buyer ma è sempre vivo il rebus manodopera

Le calzature al Pitti conquistano i buyer ma è sempre vivo il rebus manodopera
Le calzature al Pitti conquistano i buyer ma è sempre vivo il rebus manodopera
di Massimiliano Viti
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Venerdì 16 Giugno 2023, 03:20 - Ultimo aggiornamento: 10:39

FERMO  - Bilancio positivo. Non esaltante ma buono. Dipende dalle aspettative. Oggi ultimo giorno alla Fortezza da Basso di Firenze di Pitti Uomo. La prima edizione post Covid dove tutto il mondo era libero di viaggiare e quindi di poter arrivare nel capoluogo toscano. Molti lo hanno fatto ma ancora non si è proprio tornati alla normalità con l’afflusso dall’Asia, in particolare dalla Cina. Presenti, invece, i buyer russi.


Gli stand


Tra gli stand degli operatori fermani, il tema caldo è quello lavoro. In particolare della difficoltà di trovare personale. «L’anno scorso avrei voluto assumere 6 persone ma dopo una lunga ricerca sono arrivato a 3» afferma Andrea Marozzi del marchio Mirial Heritage di Casette d’Ete, per la prima volta al Pitti. «La preoccupazione reale è che se dovessi perdere quelle 2-3 figure chiave ed esperte per la produzione, perché magari attratte dalle sirene delle griffe, sarei in difficoltà.

Sarebbe quasi impossibile rimpiazzarle. E così l’intera azienda sarebbe a rischio» afferma Marozzi che per blindare il personale punta soprattutto sull’ambiente di lavoro, sul clima familiare all’interno dell’azienda. «Prospettive di crescita? Ormai dipendono dalla possibilità e capacità di assumere» afferma Stefano Medori del marchio Shoto di Montegranaro. 


Le aziende


L’azienda fa parte di quella decina che ha aderito ai due corsi di formazione (orlatrici e addetti al finissaggio) promossi da Confindustria Fermo, e finanziati dalla Regione Marche con fondi europei. «Anche se ci sono almeno due anni di contratto garantito, non sarà facile trovare le persone che parteciperanno ai corsi. Mi auguro di sbagliare» afferma Medori. Che poi prosegue: «La mia idea è che il distretto deve sempre più posizionarsi verso l’alto di gamma e quindi con un ridimensionamento della capacità produttiva si riduce anche la necessità di personale». Ma in questo caso emergerebbe ancora di più la necessità di essere presenti sul mercato con un marchio forte e non con tante piccole realtà ma invisibili. «Oggi competere da soli è già complicato ma l’aggregazione non l’abbiamo nel Dna. A volte le aziende preferiscono diventare terziste delle griffe piuttosto che esplorare la possibilità di creare sinergie con i vicini di azienda. Inoltre, bisogna dire che le esperienze aggregative, comprese le partecipazioni alle fiere, non sono state soddisfacenti. Non hanno dato quel qualcosa in più che ci si aspettava». Medori non lo dice apertamente ma il riferimento è alle iniziative di Ice, Regione Marche e consorzi di imprese che da anni operano nel distretto Fermano-Maceratese ma con risultati trascurabili.


La situazione


«Per 5-10 anni speriamo di riuscire a tamponare la situazione ma poi, se non ci sarà una inversione di tendenza, suonerà l’allarme rosso. Il serbatoio della manodopera resterà a secco». Esprime così le sue preoccupazioni Gianni Giannini, ceo di Doucal’s, altro marchio di Montegranaro presenti al Pitti. Marchio che festeggia i 50 anni di età. Nell’agosto 2024, Giannini spera di poter inaugurare la sua nuova sede. «In questa edizione di Pitti si sono finalmente rivisti orientali e americani» osserva lo stesso imprenditore. Proprio il mercato a stelle e strisce è oggetto di un progetto di approccio targato Regione Marche e Camera di Commercio. 


Tra gli interessati anche il calzaturificio Galmen di Montegranaro, al Pitti con due stand: uno col marchio Primabase e l’altro con Alexander Hotto. «Siamo consapevoli che è un mercato difficile da approcciare da soli. Bisogna avere un partner distributivo oppure costituire una società in loco con un socio statunitense» esordisce Giampietro Melchiorri, ceo di Galmen. «Le complessità che abbiamo notato riguardano gli sdoganamenti ma pesano anche la mentalità, la distanza e il disallineamento tra la moda Usa e quella europea. Contrariamente a quanto si possa pensare, il cliente statunitense è tradizionalista per cui è orientato ad acquistare non l’ultimissima collezione in vendita in Europa, ma i prodotti delle precedenti».

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