Gianmarco Tamberi è pronto a volare
Prima Pechino, poi le Olimpiadi a Rio

Gianmarco Tamberi con la "mezzabarba" che è diventata un amuleto
Gianmarco Tamberi con la "mezzabarba" che è diventata un amuleto
di Luca Regini
5 Minuti di Lettura
Sabato 8 Agosto 2015, 13:22 - Ultimo aggiornamento: 13:25

ANCONA - Sognava di diventare un giocatore di basket da Nba, adesso rischia di diventare l’uomo volante, se continuerà a progredire come sta facendo negli ultimi mesi, arrivando molto vicino ai limiti delle possibilità umane.

Gianmarco Tamberi, 23 anni, studente di economia ad Ancona (“ma un po’ indietro con gli esami”, ammette lui) è sulla bocca di tutti dopo che recentemente in Germania ha scavalcato l’asticella posta a 237 cm dal suolo, cosa riuscita a ben poche persone nel mondo. Il saltatore anconetano però non è sbucato dal nulla, nel 2012, a soli 20 anni partecipò alle Olimpiadi di Londra, dove se la cavò già bene e nel suo palmares ci sono anche due quinti posti ai Campionati Europei. Poco prima del 2,37 aveva portato il record italiano all’aperto a 2,34, un record che resisteva da 26 anni. Gianmarco è allenato dal padre Marco, che, sempre nel salto in alto, fece le Olimpiadi di Mosca del 1980 e arrivò a valicare i 2,31.

Ora però il figlio d’arte è sbarcato a pieno titolo sulle prime pagine dei giornali, dove è stato facile mediatizzarlo per la sua strana caratteristica di radersi solo la parte destra del viso, lasciandosi mezza barba folta: “E’ un gioco - spiega lui - nato per caso il giorno che, dopo essermi rasato così solo per scherzo, portai il mio personale all’aperto da 2,14 a 2,25. Poi mi andò bene anche un’altra gara e allora decisi di lasciarmela così. Ma non è scaramanzia, è che mi piace proprio”.

Così come le piace interagire con il pubblico, mentre una volta i saltatori cercavano silenzio e concentrazione...

Anche io mi concentro, ma poi mi carico solo se la gente mi segue e mi incita, mi piace divertirmi e far divertire la gente.

Senza gente non potrei saltare e il tifo mi dà una carica incredibile, per questo prima sono io che carico il pubblico.

Un passo indietro... Come ha fatto ad arrivare lassù?

Ho capito che ce l’avrei fatta quest’anno quando ho sbagliato un salto a 2,32, ma rivedendolo ho visto che ero andato altissimo, allora ho capito che potevo farcela.

La chiave di volta?

Alcuni aggiustamenti tecnici nella rincorsa e nel salto, ma direi soprattutto avere un anno intero libero da infortuni, che negli anni precedenti non mi erano mancati

Avere un padre come allenatore è pesante?

Era pesante a casa, perché mi sentivo sempre giudicato e osservato, da qualche mese vivo da solo ad Ancona, proprio di fronte al campo di allenamento, e sono più sereno. Magari posso sbagliare un comportamento ma ho meno pressioni. In campo invece mi trovo alla grande, lui riesce a trasferirmi le sue esperienze e fa in modo che ci creda sempre.

Allenamenti durissimi per volare così in alto?

Non esattamente: cinque sei alla settimana in inverno, più o meno tre in estate quando c’è anche la gara, e non sono allenamenti massacranti. Lavoriamo molto sulla qualità e non faccio pesi. Sacrifici magari sì, quelli tanti

Quali in particolare?

Un po’ di dieta, pochissime serate con gli amici, orari abbastanza regolari. Io cerco di sgarrare il meno possibile e per uno col mio carattere non è facile. La Nutella poi mi manca, devo dire...

Hobby?

Mi piace molto stare con gli amici, ogni volta che posso, oltre che con Chiara, la mia ragazza. Come hobby direi il basket, la Nba. Magari fossi diventato un giocatore di basket.

Lo sa che Achille Polonara, suo amico e concittadino questo sogno ce l’ha davvero?

Si lo so, e secondo me ce la fa. E’ un grande e faccio il tifo per lui.

Libri? Film?

Libri tanti, molto vari, adesso sto leggendo un libro di mental coaching, interessante, serve anche a me. I film mi piacciono ma non vado quasi mai al cinema, li guardo in Tv o sul pc.

Campioni preferiti?

Direi James Harden dei Rockets, sempre nella Nba.

E in Italia?

Valentino Rossi.

E tra i saltatori in alto?

Igor Paklin, lo conoscono in pochi, è degli anni ’80.

E suo padre invece lo ha mai visto come saltava?

Sì, su qualche filmino in bianco e nero. Saltava benino, ma era un salto diverso dal mio.

Ai prossimi Mondiali di Pechino Tamberi arriva secondo, Chi vorrebbe che vincesse?

Sono amico di quasi tutti, la competizione c’è ma c’è anche amicizia. Io sono competitivo soprattutto con me stesso. Spero di migliorarmi, ma se qualcuno è più bravo io l’applaudo. Comunque se dovessi scegliere un vincitore direi Jesse Williams, l’americano con cui ho un grande rapporto. Ma Jesse non è al massimo. E allora vi dico che vince Barshim, quello del Qatar.

C’è doping nell’atletica?

Sì, soprattutto nell’est europeo, anche se il salto in alto per fortuna è una specialità in cui c’è meno incidenza. Comunque gli italiani sono tra i più puliti. E’ bello vedere che di solito siamo quelli che cercano scorciatoie e invece in questo caso siamo all’avanguardia.

A parte il caso Schwazer...

Secondo me sarebbe da annullare, da cancellare, da mandare via. Ma perché parlano di fargli fare le Olimpiadi?

E il suo doping?

Questa parola proprio non mi piace, diciamo che l’assenza di infortuni mi ha giovato moltissimo.

Perché un ragazzino dovrebbe fare atletica?

Ma no, un ragazzino dovrebbe fare basket. Calcio di sicuro no, a meno che non voglia fare l’attore. L’atletica invece è uno sport che ti permette di conoscere un sacco di gente, fare amicizie, stringere rapporti anche forti.

Dopo i due recenti record quale è stato il complimento più gradito?

Prima di tutto il fatto che sono stati tantissimi, a me piace stare con la gente, fare festa, mi ha fatto tanto piacere. Comunque il più gradito forse è stata la telefonata di Marcello Benvenuti, che neanche conoscevo e che nel 1989 aveva saltato i 2,33 che ho battuto col record italiano di 2,34. E’ stato molto gentile e mi ha fatto molto piacere.

E per finire, quale può essere la sintesi di questa continua rincorsa verso l’alto?

E’ in una frase che ho scritto io stesso da piccolo, e che ancora mi accompagna: “Arriva per tutti il momento in cui bisogna perdere. Quando arriverà per te, dimostra come si vince”.

E allora il mental coaching è proprio una vocazione. Vai Gianmarco, Rio ti aspetta, ma sulla strada per il Brasile trovi prima la Cina. Strano vero?

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