L'inchiesta sull'alluvione: allarme scattato con 3 ore di ritardo. Due mesi per i primi indagati

L'inchiesta sull'alluvione: allarme scattato con 3 ore di ritardo. Si indaga per inondazione colposa e omicidio colposo plurimo
L'inchiesta sull'alluvione: allarme scattato con 3 ore di ritardo. Si indaga per inondazione colposa e omicidio colposo plurimo
di Lorenzo Sconocchini
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Domenica 17 Settembre 2023, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Settembre, 07:34

«Se solo ci avessero avvisato in tempo, adesso non saremmo qui a reggere le fiaccole...». Come in una nenia dolente, nel corteo che a Pianello di Ostra venerdì sera ricordava il primo anniversario di quell’apocalisse di acqua e fango, i parenti delle 13 vittime puntavano il dito sul mancato allarme, arrivando al cuore dell’inchiesta sull’alluvione del 15 settembre 2022. Dalla quale sembra emergere che dalla sala operativa della Protezione civile regionale, il centro nevralgico del sistema di prevenzione e allerta, l’input di mettersi al riparo sia partito con tre ore di ritardo, alle dieci di sera, quando già si contavano morti e dispersi.


Scesi in garage


Ben 180 minuti durante i quali i residenti della vallata del Misa e del Nevola, dove abitavano tutte le vittime, hanno continuato ad attraversare ponticelli a un metro dal fiume, sono scesi dai garage per salvare le auto, anziché mettersi al riparo ai piani alti delle abitazioni.

L’indagine - in cui si ipotizzano i reati di inondazione colposa e omicidio colposo plurimo - da marzo è passata alla Procura dell’Aquila (per la presenza tra i danneggiati dalle esondazioni di un magistrato in servizio ad Ancona) che ha affidato una consulenza tecnica, all’esito della quale, entro un paio di mesi, si procederà con le prime iscrizioni nel registro degli indagati. Ma se molti dei sopravvissuti - a partire dalla farmacista Silvia Mereu, a cui la piena del Nevola strappò dalle braccia il figlioletto Mattia, 8 anni - chiedono legittimamente di arrivare presto a un processo, per dare giustizia alle vittime, non è che in quest’anno l’inchiesta abbia accusato passaggi a vuoto. Anzi, già da fine febbraio i carabinieri forestali del Gruppo Ancona, insieme ai colleghi del Nucleo investigativo dell’Arma, hanno completato e affidato ai magistrati un’informativa molto dettagliata in cui si ricostruiscono gli avvenimenti di quella tragica serata e si cerca di evidenziare possibili cause e responsabilità. 


L’inchiesta


Dal dossier dei carabinieri sembra emergere che - più di possibili omissioni nella prevenzione del rischio idrogeologico - possa aver pesato una cattiva gestione del flusso delle informazioni che in quelle ore, già dalle 7 della sera, avrebbero dovuto mettere in guardia la popolazione dal rischio di alluvioni. Perché se è vero che gli alvei dei fiumi erano ingombri di tronchi d’albero secchi (che fecero da tappo all’altezza dei ponti) se le casse d’espansione del Misa attese come la salvezza dopo l’alluvione del maggio 2014 non erano state completate, davanti a un evento atmosferico giudicato dagli esperti eccezionale, non è lì secondo i carabinieri che in prima battuta si deve indagare per accertare le responsabilità. 


Piogge eccezionali


L’informativa di polizia giudiziaria si concentra molto di più su com’è stata gestita l’emergenza, specie a livello di comunicazioni tra sale operative, nelle ore in cui i fiumi s’ingrossavano sotto il diluvio scatenato da temporali autorigeneranti, con tanta pioggia caduta in 6-7 ore quanta mediamente ne scende in sei mesi. L’allarme della sala operativa unificata permanente della Protezione civile regionale ai sindaci è partito solo poco dopo le ore 22 del 15 settembre. Eppure già dalle ore 19 e 05 nella centrale Soup di Ancona (dove c’era un solo operatore perché l’allerta meteo era gialla, rischio basso, e limitata all’entroterra montano) s’era accesa una spia rossa, che segnalava il superamento della soglia critica del livello del Misa a Serra de’ Conti. Perché non è scattato l’allarme? Perché le “Procedure di allertamento del Sistema regionale Marche di Protezione civile per il rischio idrogeologico ed il governo delle piene”, definite da un decreto del 2016, prevedono che dei sei idrometri presenti lungo il bacino del Misa l’unico che fa scattare l’obbligo della sala operativa regionale di avvertire i comuni in caso di superamento di valori soglia, è quello di Bettolelle. Siamo però alle porte di Senigallia, 20 km più verso il mare rispetto agli abitati investiti dalle piene dei fiumi.


Eppure alle 19 e 23 - come risulta dai tabulati - il sindaco di Arcevia Dario Perticaroli chiama la Protezione civile regionale, preoccupato per la pioggia. Gli dicono di attivare il Coc. Eppure già alle ore 20 dalla zona di Barbara, dove il fiume si portò via Mattia, erano arrivate numerose chiamate al 112 e ai vigili del fuoco di residenti che segnalavano auto semisommerse. Ma solo poco dopo le 22 parte dalla Sala operativa regionale l’allarme ai sindaci, per altro reso più macchinoso dall’assenza di campo che vanifica la messaggistica rapida whatsapp e costringe a chiamare al telefono un sindaco dopo l’altro.

Ma a cosa serve un sistema d’allerta che avvisa i sindaci della media valle quando la piena è già vicina al mare? I carabinieri lo chiedono anche agli esperti della fondazione Cima - Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale - e la risposta dev’essere scontata, se è vero che proprio a Cima si è rivolta la giunta regionale per rendere più efficace la rete di monitoraggio sul livello dei fiumi. Risultato: Cima ha fatto adottare altri sistemi di allerta, mettendo in rete anche i pluviometri, che monitorano la pioggia caduta. 


Tutta la filiera


Ma è tutta la filiera della Protezione civile, dai piccoli comuni al dipartimento nazionale, che viene radiografata dai carabinieri. Sono state sentite come persone informate sui fatti più di cento persone, tra cui molti sindaci e funzionari della Protezione civile, fino alla vicecapo del Dipartimento nazionale Titti Postiglione. Si è cercato di capire se i piani comunali di Protezione civile siano stati aggiornati ogni due anni, come prevede la legge, ed è emerso che molti erano obsoleti. Si è indagato sul rispetto degli obblighi di legge in capo ai sindaci, autorità locali di Protezione civile, tenuti a informare la popolazione sui rischi idrogeologici (e su come affrontarli) e a far monitorare, in caso di forti piogge, i punti critici dei fiumi. È spiccato l’esempio virtuoso del Comune di Senigallia, che “scottato” dall’alluvione del 2014 ha un sistema di Protezione civile all’avanguardia. Chiusi gli accertamenti, i carabinieri hanno segnalato nell’informativa una quindicina di persone che, per il ruolo di garanzia ricoperto, potrebbero essere chiamate in causa per responsabilità penali. Ma spetta alla magistratura valutare se le loro eventuali omissioni hanno contribuito davvero a provocare indirettamente 13 morti. 
 

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