Fermo, studio sulle calzature. I commercialisti bacchettano:«Investimenti insufficienti e poco spazio per i giovani»

Fermo, studio sulle calzature. I commercialisti bacchettano:«Investimenti insufficienti e poco spazio per i giovani»
Fermo, studio sulle calzature. I commercialisti bacchettano:«Investimenti insufficienti e poco spazio per i giovani»
di Massimiliano Viti
3 Minuti di Lettura
Giovedì 1 Febbraio 2024, 02:40 - Ultimo aggiornamento: 11:50

FERMO Delocalizzare: che errore! È uno degli aspetti su cui si sofferma il documento dal titolo “Le imprese del comparto calzaturiero. Trend di mercato e spunti di riflessione per un modello di analisi della gestione aziendale” rilasciato dal Consiglio e dalla Fondazione nazionali dei commercialisti. In particolare, i due consiglieri nazionali dei commercialisti delegati a compliance e modelli organizzativi delle imprese sono Fabrizio Escheri ed Eliana Quintili, quest’ultima, fermana, ed ex presidente dell’Ordine di Fermo. Il documento analizza anche il comportamento e le scelte compiute dagli imprenditori della calzatura, uno dei settori più colpiti dai processi di riorganizzazione produttiva a livello nazionale e internazionale a seguito delle crisi economiche, della de-globalizzazione e delle conseguenze in termini di ristrutturazione delle catene del valore.

I dubbi

Non mancano le critiche verso gli imprenditori. Ad esempio i commercialisti denotano «una minore attenzione degli imprenditori verso i modelli organizzativi e, soprattutto, verso assetti amministrativi e gestionali più efficienti e in grado di supportare i processi di crescita». E si legge di «capacità organizzative-imprenditoriali limitate e disomogenee». Per la stessa Quintili: «Nel periodo d’oro della scarpa marchigiana, gli investimenti per l’azienda sono stati scarsi così come è stata scarsa l’attenzione verso il passaggio generazionale. In definitiva gli imprenditori non sono riusciti a costruire aziende capaci di durare nel tempo» afferma la commercialista, con un riferimento anche alla creazione di marchi forti.

I dati

Il documento afferma come la delocalizzazione produttiva sia stata un errore. «Per raggiungere gli standard di produttività e di qualità dei laboratori italiani, le linee di produzione nei paesi di delocalizzazione dovevano occupare più del doppio del numero di addetti, quanto meno fino a qualche anno fa. Spesso le imprese non sono state capaci neanche di trasferire adeguatamente il proprio know-how alle nuove maestranze nei paesi di delocalizzazione, salvo eccellenze. Con ogni probabilità, una maggiore attenzione al tema della produttività e dell’efficienza dei processi aziendali, avrebbe consentito di mantenere in Italia parte della produzione. Ma, soprattutto, questa maggiore attenzione all’efficienza e alla conoscenza dei processi aziendali avrebbe generato una spinta più efficace all’innovazione tecnologica con conseguente ritorno in termini di minor costo industriale per unità di prodotto, quindi di maggiore competitività della produzione italiana (circolo virtuoso)».

L’ipotesi

Anche per questo motivo il documento presenta un’ipotesi di modello di analisi della gestione aziendale specifico per il settore calzaturiero. «Un altro obiettivo del documento è quello di sensibilizzare la nuova classe imprenditoriale ad impostare in maniera diversa l’azienda» afferma Quintili, secondo la quale la ridotta dimensione delle imprese è sicuramente un ostacolo ad un assetto aziendale ben strutturato ed efficiente.

Il sostegno

Ed ecco che dovrebbe emergere la figura del commercialista, quale consulente in grado di affiancare l’impresa nel processo di crescita e di sviluppo, anche alla luce della normativa sulla crisi d’impresa che impone all’imprenditore di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. «Questo porterebbe dei vantaggi sia per l’accesso al credito e sia per salvaguardarsi in caso di crisi» precisa la commercialista fermana.