Giovanni Padovani, ergastolo per il femminicidio di Alessandra Matteuzzi. I giudici: «Fu vendetta, non gelosia. La pazzia una messa in scena»

Le motivazioni della Corte d'Assise di Bologna per la condanna all'ergastolo all'ex calciatore 28enne

Giovanni Padovani, ergastolo per il femminicidio di Alessandra Matteuzzi. I giudici: «Fu una vendetta, la pazzia una messa in scena»
Giovanni Padovani, ergastolo per il femminicidio di Alessandra Matteuzzi. I giudici: «Fu una vendetta, la pazzia una messa in scena»
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Venerdì 8 Marzo 2024, 14:56 - Ultimo aggiornamento: 17:04

Giovanni Padovani è stato condannato all'ergastolo per il femminicidio dell'ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, avvenuto il 23 agosto 2022 a Bologna, sotto casa di lei. La Corte d'Assise di Bologna ha oggi motivato la sentenza nei confronti dell'ex calciatore 28enne. «Èimproprio attribuire l'omicidio ad una insana gelosia dell'imputato, la quale, semmai, costituì il movente del delitto di atti persecutori, mentre l'omicidio fu motivato da un irresistibile desiderio di vendetta, uno tra i sentimenti più irragionevoli, eppure imperativi»: per i giudici si tratta non tanto di un «'omicidio d'amore', quanto piuttosto di un 'omicidio d'onore', sia pure in una malintesa accezione di quest'ultimo». 

La vendetta

Dalle testimonianze raccolte «emerge la prova dell'ideazione da parte dell'imputato di un proposito vendicativo» nei confronti dell'ex compagna Alessandra Matteuzzi, 56 anni, «manifestato fin da giugno e nel luglio 2022 con estrema lucidità, come si può cogliere dal richiamo consapevole alle conseguenze di tale gesto ovvero alla possibilità di andare in carcere».

Si trattò, per i giudici presieduti da Domenico Pasquariello di «un vero e proprio agguato preparato nelle sue linee essenziali di azione». «Deve ritenersi acquisita la prova che la condotta omicidiaria non sia stata determinata da un mero moto d'impeto - aggiunge quindi la Corte - ma sia maturata e si sia progressivamente radicata negli intenti dell'omicida, sia stata persino preannunciata nelle confidenze fatte a terzi e alla madre nelle annotazioni sul cellulare, e poi attuata secondo un piano predeterminato, comprensivo della scelta dell'arma da usare e del luogo in cui colpire».

 

Giovani Padovani maniacale

Nel processo è emerso «il carattere ossessivo-maniacale delle forme di controllo che l'imputato attuava nei confronti della compagna e come fosse stato spinto da una forza irresistibile, ingenerata da un sentimento di rancore e da un senso di frustrazione, a ritornare a Bologna per assassinarla». 

La messa in scena

«Una messa in scena»: così la Corte di assise di Bologna descrive il comportamento di Giovanni Padovani, dichiarato capace di intendere e di volere da una perizia psichiatrica, accertamento cruciale nel processo. Conclusioni a cui i giudici hanno aderito pienamente. La Corte ritiene, si legge nella motivazione della sentenza pronunciata il 12 febbraio «che le bizzarrie comportamentali dell'imputato, talora anche grossolanamente enfatizzate, seguite sovente da prese di posizione invece consapevoli e responsabili, soprattutto negli snodi decisivi del processo, le risultanze dei test, con risposte sbagliate anche alle domande più banali e infine l'asserzione di una tardiva insorgenza di sintomi psicotici, forniscano indicazioni che sembrano coniugarsi tra loro soltanto nella prospettiva di una intenzionale messa in scena dell'imputato». La perizia psichiatrica aveva concluso che in alcuni casi l'imputato avesse simulato sintomi psicotici. E anche le ultime dichiarazioni spontanee, in aula proprio il 12 febbraio, secondo la Corte confermano l'ipotesi che Padovani «abbia simulato consapevolmente determinati atteggiamenti».

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