A San Domenico sette anni di vergogna: deve rinascere, chi pensa al restauro?

La chiesa tormentata dal terremoto, dal 2016 non trova pace. Tesoro di arte e storia, è un volano per il turismo

A San Domenico sette anni di vergogna: deve rinascere, chi pensa al restauro?
A San Domenico sette anni di vergogna: deve rinascere, chi pensa al restauro?
di Emanuele Coppari
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Lunedì 10 Luglio 2023, 02:10 - Ultimo aggiornamento: 12:16

ANCONA  - Se la vergogna avesse il portamento magnificente di una chiesa della seconda metà del Settecento, fosse uno scrigno di tesori d’arte e un simbolo di storia e cristianità di un capoluogo di regione, avrebbe il nome di San Domenico. E avrebbe sette anni, tanti ne sono passati da quando la doppia sferzata della natura matrigna e dell’incuria amministrativa l’hanno ridotta a scatolone vuoto, uno dei tanti che punteggiano la città che se ne frega del suo patrimonio, pure quello più illustre.

 
L’indifferenza


La sontuosa facciata in pietra d’Istria è (metaforicamente) sfregiata da chi la faccia - e soprattutto - i soldi non li mette per restituirle la dignità che merita.

Del resto si sa. Ancona è campionessa mondiale di ingratitudine con il suo dna: ha tante cose belle e non se ne accorge. Così succede che a leggere l’ultimo tratto dell’avventura plurisecolare dell’edificio sacro che domina l’orizzonte di piazza del Papa è come trovarsi davanti a un déjà-vu. E come quasi sempre accade nella storia di Ancona, c’è Terry a metterci lo zampino.


Il sisma 


Nell’ottobre del 2016, così come nel novembre 2022, è stato il terremoto (sempre lui) a picchiare duro su San Domenico: in entrambi i casi fessure, lesioni e cedimenti, allora come oggi la sentenza inappellabile: chiusura. Nel 2018 riaperta dopo un anno e mezzo dallo sgrullone del sisma, oggi ancora non si sa quando i fedeli potranno tornare tra le navate, anche se l’ultima determina che ha affidato l’appalto dei lavori per le messa in sicurezza lascia sperare che i tempi siano ormai quasi maturi. Ma poi? Già, poi? Oggi come allora si pone il tema dei temi: serve un restyling profondo, complessivo e risolutivo della chiesa. Nel 2016 il progetto della realizzazione della rete di protezione per fermare la caduta di piccoli frammenti di intonaco metteva in premessa l’attesa di un maxi intervento di ristrutturazione.


L’atto della direzione dei lavori pubblici del 4 luglio scorso che dà il via libera all’appalto per il ripristino dell’agibilità recita candidamente: «Non essendo possibile in tempi rapidi intervenire in maniera estesa e definitiva sulle superfici e sulle strutture lignee della volta, operazioni molto complesse e di grande impegno economico, è importante garantire la riapertura in sicurezza». Quasi una resa, ma diamine non si può e non ci si deve arrendere. Dopo il primo scrollone di Terry furono stanziati 140mila euro, oggi la miseria di 48mila. Briciole. 


Va bene riaprire la chiesa, i fedeli per andare alla messa sono chiamati loro stessi a un mezzo miracolo di pazienza e spirito di adattamento in una stanzetta prima utilizzata per le riunioni, con sedie posizionate all’esterno e le porte aperte. Da accampati. Ok restituirla a loro e alla città, dunque. Ma qui serve di più. Devono valere le parole accorate del superiore del convento dei domenicani padre Antonio Olmi: «La questione non è soltanto religiosa. Dal punto di vista laico, stiamo parlando di un bene culturale che si affaccia sulla piazza gioiello di Ancona». 


I croceristi iniziavano da qui il tour alla scoperta delle bellezze della città. «Venivano moltissimi visitatori», ricorda con orgoglio misto a nostalgia e commozione. Brilla troppo San Domenico per lasciarla nell’ombra. Una cassaforte d’arte, l’eccellenza tocca l’apice due volte con la Crocifissione di Tiziano e l’Annunciazione del Guercino. Ecco perché serve farla rinascere, c’è bisogno di pensare ad un progetto di ristrutturazione serio, di investire su un tesoro da non disperdere. «Il sogno c’è. La chiesa è già stata chiusa nel 2016. Pur con tutte le difficoltà economiche attuali speriamo che si possa fare». Sembra di vederlo padre Olmi alzare gli occhi al cielo in atteggiamento di preghiera, e girare lo sguardo a Palazzo del Popolo in segno di appello accorato. A proposito di amministrazione: l’occasione è ghiotta per dimostrare, almeno una volta, che Ancona tiene ai suoi talenti. Non è il momento di nascondersi, ma di tirare fuori il coraggio. E i soldi. 

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