Salumi, frittate e pizza al formaggio:
non è brunch, ma colazione di Pasqua

Salumi, frittate e pizza al formaggio: non è brunch, ma colazione di Pasqua
di Véronique Angeletti
6 Minuti di Lettura
Sabato 31 Marzo 2018, 12:12
Il brunch ha un antesignano italiano. È la colazione di Pasqua. Un piccolo capolavoro d’arte culinaria che, una volta all’anno, intreccia il sacro ed antiche usanze pagane e le declina su una tavola imbandita. Protagonisti sono le uova sode, i formaggi freschi, le pizze salate, le frittate con le erbe spontanee, le fave ma anche i primi salami stagionati e la coratella d’agnello. Un tripudio di pietanze, eredità del saper fare delle vergare che, con sottili varianti di campanili, rompono il digiuno della Quaresima per celebrare la più importante festa del calendario liturgico ed acclamare il risveglio della natura.



Uova “porta bene”
Per Otello Renzi, enogastronomo e sommelier, ambasciatore dell’Istituto marchigiano di tutela vini, un Pecorino Offida o un Verdicchio dei Castelli di Jesi oppure di Matelica, insomma un bianco pregiato con una buona gradazione, sono i vini ideali per accompagnare le uova benedette, simbolo della rinascita e del mistero della vita. L’uovo “porta bene”, usanza persiana che già cinquemila anni fa celebrava la primavera e, in Occidente, nacque nel 1176, quando Luigi VII, di ritorno a Parigi dopo la seconda crociata, ne ottenne in regalo una valanga tra i prodotti dono delle terre dell’Abbazia di Saint Germain des Près. Uova che furono dipinte e distribuite al popolo. Nella settimana Santa, la Coldiretti stima che gli italiani ne consumeranno circa 400 milioni a conferma «che il consumatore è attento all’ambiente e alla naturalità del cibo poiché le preferisce senza ogm, allevate a terra e biologiche».



Dai decori alla scoccetta
Una volta le si regalava decorate facendole bollire avvolgendo il guscio di foglioline e fiori ricoperti di un velo di cipolla dorata o rossa. Ma era anche un modo per riconoscerle nel gioco della scoccetta. Una sfida in cui vince l’uovo dal guscio più resistente. A Sassoferrato, il gioco si svolgerà lunedì di Pasqua all’interno delle sale del museo delle Arti e Tradizioni popolari, scrigno di una ricca collezione dedicata agli oggetti e all’anima della civiltà contadina e montana ( Info 0732 956257). Un bicchiere di Riserva di Verdicchio o di Lacrima di Morro d’Alba o ancora di Vernaccia Docg di Serrapetrona, è il consiglio di Renzi, per assaporare il sapore salato e speziato della “Crescia Brusca” detta “Crescia al formaggio” o ancora “Pizza Cascio e oe”.



Una crescia per tutti
Il pezzo forte delle Marche. Contiene pecorino e Parmigiano, ha la forma di un panettone, si dice sia di origini jesine e secondo la tradizione necessita di 40 uova, uno per ogni giorno di Quaresima, proporzioni ignorate dalle odierne ricette. «La Crescia, che proponiamo dalle 11 in poi, è il fiore all’occhiello della colazione di Pasqua organizzata in paese il 2 aprile – spiega Giordano Zenobi, presidente della Pro Suasa a Sant’Andrea di Suasa, frazione di Mondavio - e sarà l’occasione di conoscere anche le fave di Fratte Rosa a breve Presìdio Slow Food». Con l’associazione fanese “Duemilamusei” e “Ignoranti di Spessore”, sono gli ideatori e organizzatori di “Io Nino”, lo strepitoso evento gastronomico e culturale a gennaio incentrato sul maiale. Il maiale che non poteva mancare sulla tavola pasquale, è presente con i salumi che maturano per primi. Il ciauscolo, l’Igp marchigiano famoso per la sua spalmabilità, aromatizzato con il finocchio, l’aglio e il vino cotto oppure il salame di Fabriano che, in questa Pasqua 2018, vive un’edizione zero tutta da ricordare. Lo splendido ciauscolo è ottenuto macinando il pregiato prosciutto a cui vanno aggiunti un preciso numero di lardelli e grani di pepe, attualmente è prodotto da 25 piccole aziende e una cooperativa riunite in un consorzio controllato dal Comune.
Il caso della Dop



Ad ottobre, ha sospeso il riconoscimento della Dop. «Perché non tutela l’identità del prodotto e dei piccoli produttori - spiega Barbara Pagnoncelli, assessore all’Agricoltura del Comune e presidente del consorzio - Abbiamo proseguito nella registrazione del marchio ma contrassegnato dal logo “DI”, e imposto vincoli più rigorosi». Il consorzio ha sposato la filosofia del presidio Slow Food e privilegiato l’antico metodo, ossia la stagionatura in cantina. «La tradizione - prosegue - vuole che il salame di Fabriano è un prodotto stagionale, pronto a Pasqua, e spiega la festa del Consorzio e della Condotta, in piazza, il 2 aprile (dalle 9.30)». Renzi suggerisce di abbinarlo ad un Rosso Conero, un Rosso Piceno o a un ottimo Sangiovese Colli Pesaresi. Nella città ducale di Camerino invece spicca nella ricca colazione pasquale «la coratella d’agnello ma anche un tris di frittate a sorpresa» commenta Carlo Croia, il presidente dell’associazione degli artigiani e dei commercianti. L’evento festeggia la sua XVI edizione e si svolge lunedì dalle 10.30 al City Park. «Da assaggiare con un Falerio Pecorino o un Famoso di Urbino, uva a bacca bianca delle alte Marche pesaresi di nuovo in auge» conclude Renzi. Insomma una tavola ben imbandita quella marchigiana che forse spiega che al proverbio «felice come un Re» qui si preferisce dire «felice come una Pasqua».
 
Con il prof Serritelli la sinfonia della coratella
Chef globe trotter, professor di enogastronomia all’istituto alberghiero Panzini di Senigallia, sommelier, Vittorio Serritelli (nella foto in alto) ricorda che «non è Pasqua senza agnello, simbolo del sacrificio e se la sua coratella, la parte scartata dai nobili, era per i poveri in tutta Italia l’occasione di mangiare la carne, oggi è un must come la trippa, l’osso buco, le cotiche e i fagioli». Per 4 persone far sciogliere in un tegame 30 gr di lardo con olio extra vergine di oliva e far imbiondire 1 foglia di alloro, 2 spicchi di aglio, 1 rametto di rosmarino da togliere prima di rosolare 600 gr di coratella (polmone, cuore, fegato, milza e budellini a pezzetti). Regolare con sale, pepe e peperoncino, bagnare con 200 ml di vino bianco e far evaporare. Poi aggiungere 1 litro e mezzo di ottimo brodo fino a coprire e far cuocere per circa 1 ora e mezza. Servire in una fondina ben calda. «A Roma - ricorda lo chef - aggiungono i carciofi, in Sicilia le patate, in Sardegna le olive verdi, in Abruzzo cacio, uova e buccia di limone grattugiata».



Per i piconi ascolani l’indirizzo è “Dica Duca”
Il nome è un omaggio ad Ascoli e a Totò. Il che spiega l’atmosfera elegante e conviviale che si respira nel “Dica Duca”, sul lato della piazza del Popolo, al 63 di via Cino del Duca (0736250890). È una start-up familiare creata da Berardo Olivieri e dalla moglie Simonetta Piermarini. Lì hanno fatto ritorno i figli Alberto e Leonardo emigrati per lavoro a Londra e si sono inseriti anche il terzo figlio Francesco e il nipote Nicolò. Nella colazione pasquale del lunedì dell’Angelo, ci sono i “piconi” ascolani. Sfiziosi panzerottini ripieni al formaggio, tipici della città delle cento torri, con l’incisione a croce che le distingue dai “caciuni” o “caciù” maceratesi. La ricetta del “Dica Duca”: ricavare delle sfoglie morbide di pasta da 1 kg di farina, 8 uova, mezzo bicchiere di olio di semi, un po’ di sale, far riposare mezz’ora in frigo e farcire con un ripieno cremoso fatto con 700 gr di parmigiano e pecorino e 12 uova. Spennellare con rosso d’uovo, incidere a croce con una forbice, infornare per 20 minuti a 180 gradi.
 
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