Potage, vellutata o minestra: legumi
che passione, tuffiamoci nelle zuppe

Potage, vellutata o minestra: legumi che passione, tuffiamoci nelle zuppe
di Véronique Angeletti
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Sabato 24 Febbraio 2018, 13:12
Piatto furbo, la zuppa. Gli basta cambiare nome e conquista tutte le tavole. Sofisticata, è potage o consommé, trendy si fa vellutata, popolare si chiama minestra e quando cuoce a dadi nel pentolone, minestrone. In fondo, la zuppa gioca facile. Sa che profuma di vera cucina, di genuino e che tiene alla larga l’inverno ma sa anche che, in ogni sua variante, è il racconto verace di un territorio e della sua gente.

La storia della minestra
Perché le zuppe sono pagine di storia. Eppure antica. Da quando qualcuno scoprì come far bollire dell’acqua e per intenerirle immerse radici, carni e vegetali. Non a caso, il termine stesso ha un’origine indoeuropea, dove “suppa” significa pezzo di pane inzuppato. E il suo lato salubre è anche all’origine della parola restaurant, nome dato agli ambulanti che nella Parigi del XVIII secolo proponevano buoni brodi dalle qualità che rinvigoriscono e dunque ristorano. Piatto unico, la zuppa varia la sua composizione a seconda dei legumi di stagione ma più di tutto dell’orto. Il suo segreto è nel brodo e nel tempo che le verdure hanno per assorbirlo ed insaporirsi. Quasi sempre si parte da un soffritto di cipolla, sedano, prezzemolo e carota meglio in olio extra vergine d’oliva dove si fanno rosolare le verdure fino a farle stufare e poi si aggiunge brodo, anche fatto con il dado, e verdure. Però nelle Marche, sono i legumi, i veri padroni delle minestre. Prodotti di cui la richieste è in constante aumento. «La loro riscoperta è merito dell’agricoltura biologica - spiega Bruno Sebastianelli della cooperativa bio “La Terra e il Cielo” di Piticchio di Arcevia (tel. 0731984559). La necessità di lavorare con le terre a rotazione impone di seminare in alternanza leguminose». Importante realtà nel biologico, la cooperativa, nata nel 1980, ha riscoperto e rilanciato antiche varietà di cereali come il Senatore Cappelli, il Taganrog, l’Etrusco e legumi che volutamente ha selezionato per la qualità e non per la resa. «Oggi produciamo ceci, fagioli, lenticchie piccole, la cicerchia e con tutti i nostri prodotti siamo ben presenti nel mercato italiano, europeo e nel mondo. In 30 anni non abbiamo mai perso il contatto con i valori della solidarietà, dell’equità e del rispetto per la natura. Non solo coltiviamo in ambienti incontaminati senza l’uso di prodotti chimici sintetici ma con l’obiettivo di una giusta retribuzione dei nostri soci agricoltori».



Legumi e De.Co
Anche l’associazione “I legumi di San Sisto” nel Montefeltro persegue gli stessi obiettivi. «Ci sono 8 agricoltori - racconta Risiero Severi, tra i soci fondatori - Damiano, Daniele ed Alessio Grassi, Lamberto e Oberdan Nonni, Graziano Baldaccioni, Massimo Mariani, Aldo Santini». Le loro terre ad un altitudine di 770 metri slm corrono dalla valle del Foglia e del Mutino fino alle pendici del monte Carpegna. Il che dà uno speciale sapore ai legumi di San Sisto, frazione di Piandimeleto conosciutissima per la sagra dei suoi funghi a settembre. Non a caso la zuppa della zona propone funghi e legumi. Ogni anno producono su circa 6 ettari intorno a 200 quintali di legumi tra cui spicca il cece sultano e la lenticchia rossa. Fino al 2 marzo sono protagonisti di serate speciali a base di carne di maiale e funghi porcini chiamate non a caso “Porco e legumi” promosse, tra gli altri, da Confesercenti, Compagnia del Montefeltro e Camera di commercio di Urbino (info www.compagniadelmontefeltro.it).
Mentre nel Maceratese, c’è un format tutto da copiare. Quello dell’associazione “I Legumi di Appignano”. «È nata dall’incontro di più agricoltori specializzati nella coltivazione di legumi tipici della zona e dalla necessità di fare sistema per promuoverli in un mercato che spesso fa fatica a capire la qualità vera» spiega Giacomo Scattolini, l’attuale presidente. Ma soprattutto è il frutto di “Leguminaria”, evento organizzato ogni anno la terza domenica di ottobre che il comune di Appignano ha addirittura concretizzato con una De.Co riservata a chi coltiva 3 specie botaniche tipiche del suo territorio: il cece quercia, la roveja ed il fagiolo solfì. «Detto anche fagiolo “Cento” perché va seminato il centesimo giorno dell’anno, è in balia delle gelate ed ha una buccia così sottile che non si può raccogliere meccanicamente ma solo a mano» precisa Marco Staffolani, coordinatore dell’associazione. La vetrina si trova in piazza Umberto I e quella virtuale a www.ilegumidiappignano.it (tel. 335 5376758).



I buoni consigli
Iniziative che hanno ridato una nuova linfa alle zuppe della tradizione che, rivisitate dagli chef, diventano piatti molto attuali. Intanto alcuni consigli. I legumi sono semi racchiusi in un baccello e, tranne le lenticchie, devono essere messi in ammollo in acqua fredda indispensabile alla reidratazione. E per scongiurare l’inconveniente che “fagioli, ceci e lenticchie ti parlano dietro” basta non frullare i legumi cotti ma setacciarli al passaverdura ed eliminare la buccia.
 


Con i Sapori dei Sibillini a Visso un vero business
Nelle zuppe di legumi e cereali, Luca Testa, proprietario dell’azienda agricola Sapori dei Sibillini a Visso, ci crede e tanto. Anche se il terremoto gli ha lesionato il laboratorio di trasformazione, le zuppe rimangono il motore del suo business plan. «La mia famiglia coltiva legumi da sempre - spiega - nelle terre del Parco dei Sibillini e nel comprensorio limitrofo. Queste terre hanno una particolare vocazione e godono di un clima ideale». Produce farro, segale, avena, ceci, borlotti, cece nero, orzo, cicerchia, ovviamente lenticchia tra cui quella igp di Castelluccio di Norcia e anche roveja. Un piccolo legume simile per forma al pisello, per gusto alla fava, che cresce spontaneamente nei prati e sui monti alla base dell’alimentazione di pastori e contadini. Oggi poco diffuso per colpa di una raccolta faticosa dovuta ai lunghi steli che tendono a coricarsi a terra. La scommessa di Luca è proporre al consumatore finale il mix ideale di legumi solo da cuocere. Sei proposte di cui due biologiche che si cuociono al massimo per 35 minuti (0737972549 - lasibillabio@libero).
 
I ceci con i maltagliati per un’emozione forte
La cucina, espressione di un territorio. La gastronomia, una pagina da raccontare. Per Marcello Rivi, titolare del ristorante “Le Contrade” nel cuore di Piandimeleto, (tel. 0722721797), il menu è un pretesto per parlare del paese. Condivide la coraggiosa scelta dell’associazione “I legumi di San Sisto” e l’asseconda spiegando ai suoi clienti il nesso tra cultura e natura e l’importanza della salvaguardia della biodiversità. Nella sua zuppa di ceci, la cuoca Norita Mauri consiglia per 4 persone di mettere in ammollo 250 gr di ceci secchi di San Sisto in acqua fredda per non meno di 12 ore con una tazza di latte intero. Sciacquare, lessare e salare solo alla fine. Preparare la minestra con un soffritto di carota, 1 spicchio d’aglio, rosmarino, 4 peperoncini secchi. Dopo aver tolto l’aglio, aggiungere i ceci, parte dell’acqua di cottura e 180 gr di maltagliati cotti separatamente. Condire con olio extra vergine Dop Cartoceto e grana padano.
 
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