La presidente Gardoni: «Veregrense
e orgogliosa di fare la contadina»

La presidente Gardoni: «Veregrense e orgogliosa di fare la contadina»
di Lucilla Niccolini
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Lunedì 18 Dicembre 2017, 11:50
Quello scricciolo biondo con i capelli legati a cipolla al colmo della testa, alla guida di un trattore, è un presidente. Maria Letizia Gardoni è arrivata tre anni fa al vertice di Coldiretti Giovani Impresa, e ne aveva venticinque. «Ma ho fatto la gavetta: prima presidente provinciale, poi regionale ed eccomi delegata nazionale. E ho battuto un ragazzo lombardo e un calabrese. Ho portato le Marche sugli allori». Ha il senso del tempo, che di stagione in stagione porta a maturazione i frutti, fa crescere le piante, ramifica le radici sotto terra. Quella terra che da bambina afferrava con le manine, mentre il nonno zappava per hobby l’orticello di casa, a Padiglione, frazione rurale di Osimo. «Mi curavo degli animaletti malati, seppellivo quelli morti. Il contatto con la natura è il costante ricordo d’infanzia». Ne ha fatto una professione.


 
Ne ha fatto una professione
«Innamorata dei cavalli, ho convinto i miei a comprarmene uno, il mio bel Kartouche. Adesso è in pensione, ma mi ha fatto vincere tante gare a ostacoli. Papà e mamma avevano messo solo la condizione che riuscissi a mantenerlo da sola: ho fatto di tutto, dall’addetta alla toelettatura per cani, alla cassiera. Studiavo di notte, iscritta al Classico, e lavoravo. Una disciplina che mi sono autoimposta. Andavo bene a scuola e i prof ci sono rimasti male quando ho detto che dopo la maturità mi sarei iscritta ad Agraria: sognavano per me una carriera accademica nella letteratura. Faccio la contadina. Non avrei potuto fare altro».
 
La ragazza con l’aria sbarazzina
La ragazzina con l’aria sbarazzina aveva un progetto. «Volevo una fattoria. Poi i sogni si sono ridimensionati». Convince la famiglia ad acquistare un fazzoletto di terra. «All’inizio era terreno incolto, il primo anno è stato dedicato alla bonifica. Oggi sono undici ettari. E il mutuo – ride nervosa – mi sa che finirò di pagarlo a cinquant’anni...». Ma intanto il legame interrotto dei suoi con la terra si era riallacciato.
 
La coltivazione biologica
Maria Letizia si è voltata indietro per andare avanti: ha cominciato a coltivare biologico. E rifornisce i ristoranti e i punti vendita macrobiotici. Specifica, per gli ignoranti: «Si segue un disciplinare di produzione biologica e biodinamica, seguendo buone pratiche agricole. La sostenibilità ambientale è importante, a tutela del benessere dei consumatori, ma anche quella economica, per l’azienda». Indossa sui jeans la giacchetta di imprenditore: «Salute, ambiente ed economia sono i tre pilastri che sorreggono l’agricoltura macrobiotica. Il recupero di antiche varietà, nell’ortofrutta, significa riprodurre il seme in azienda, non acquistarlo. Così le piante tornano a inselvatichirsi, riacquisiscono la natura originaria. Il territorio ritrova le sue origini e il suo equilibrio, con gli ortaggi che crescono tra i filari del frutteto, circondato da vegetazione autoctona. E la natura fa il suo corso, l’uomo interviene il meno possibile. I risultati non li vedi subito, è un impegno di tutta una vita, per me e per chi verrà dopo di me».
 


L’agricoltura sociale
Adesso sul podere sta attrezzando un rustico per l’agricoltura sociale. «Dedicato a bambini, ma anche adulti, con problemi di autostima, perché recuperino fiducia in se stessi a contatto con la natura, vedendo crescere gli ortaggi. La campagna ha un potere terapeutico. Poi, trasformiamo i prodotti in casa, con l’aiuto di un giovane cuoco: confetture e creme di ortaggi, che vendiamo in una piccola bottega». Le dà una mano la mamma, impiegata in pensione. «È la prima ad arrivare la mattina e l’ultima ad andarsene. Ha cambiato atteggiamento, perché mi vede felice. All’inizio era preoccupata, ansiosa per la mia salute. Ci vuole la forza fisica, mi diceva. «Io in effetti - continua - sono piccina, esile, ma ormai nell’agricoltura il lavoro lo fanno le macchine. Lei stessa, a contatto con la terra, ha vinto lo stress da ufficio, ha guadagnato dieci anni di vita». Come il padre, che l’ha sempre sostenuta. «Ha saputo vedere l’impresa come un investimento, forse perché è nato in campagna, nella selva di Montoro».
 
Un mondo al maschile
Un mondo al maschile, quello dell’agricoltura. «Tuttora la presenza di donne a livello dirigenziale è molto bassa. Ma ho sempre vissuto serenamente i rapporti con i «grandi vecchi della terra», da loro ho imparato a gestire e a interpretare i segni. E poi, nel nostro settore le donne sono in aumento: un’azienda agricola su tre è condotta al femminile. Abbiamo una sensibilità ambientale più spiccata, sappiamo condurre con garbo agriturismi e fattorie didattiche, siamo brave con le confetture. Insomma, le donne danno un’impronta diversa al settore agricolo».
Piccole donne crescono. E gli uomini stanno a guardare? «I giovani colleghi mi stimano, credono in me, forse perché non ho mai posto distanza tra me e coloro che rappresento. So ascoltare i loro sfoghi, capire i malumori. Mi ha molto aiutato l’umiltà che mi hanno insegnato i miei genitori». Un tantino di autocritica fa da fertilizzante, della crescita e dei rapporti umani.
La donzelletta che vien dalla campagna col suo fascio dell’erba, come si sente: donna in carriera o “vergara”? Ride. «L’uno e l’altro. Vergara, inevitabilmente: mi piace cucire, cucinare, stare a casa, con grande orgoglio. Ho fatto quello che sognavo, ho realizzato passioni e desideri: nessuno mi ha imposto niente. Mi sento libera, fortunata e brava. Incosciente? Coraggiosa, direi. Guardo lontano, perché i tempi della terra sono lenti... E se poi dovessi fallire, almeno ci ho provato».
 
È fidanzata con un architetto
Fidanzata con un architetto che lavora a Losanna, a matrimonio e figli ancora Maria Letizia non pensa. «Sono troppo concentrata sul mio lavoro, la mia corazza. Non è egoismo, sono convinta che concentrandomi su me stessa posso fare più bene agli altri. Per i figli è presto: mi spaventa l’idea di assumermi la loro responsabilità. Mi bastano quelle che ho adesso». Sempre in tuta e felpa, i lunghi capelli legati, si definisce una zingara. «Confesso che non mi piace prendermi troppo cura dell’abbigliamento, un po’ mi trascuro». Però quando rappresenta i Giovani Coldiretti in sede ufficiale, indossa il tubino colorato o un blazer, segnali solo esteriori di quella serietà con cui conduce il mandato, a parole e nei fatti. «Ci battiamo per la sostenibilità degli imprenditori agricoli e il riconoscimento della loro dignità, in un mondo distorto da paradossi, in cui gli agricoltori sono fagocitati da dinamiche poco piacevoli: di un prodotto che costa un euro al mercato, solo tredici centesimi entrano nelle nostre tasche. Bisogna far capire quant’è importante il nostro lavoro, anche per la gestione del paesaggio e delle nostre comunità». Radicata sul territorio, Maria Letizia ha scelto la campagna proprio per restare nelle Marche, «terra di meravigliosa biodiversità e di grandi lavoratori, gente dignitosa, umile e generosa». Come lei, la donzelletta.
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