La Berloni taiwanese va verso il crac ma i liquidatori sono già pronti a fare ricorso

Lo stabilimento della Berloni quando era di proprietà dell'omonima famiglia
Lo stabilimento della Berloni quando era di proprietà dell'omonima famiglia
di Luigi Benelli
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Mercoledì 10 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 15:12

PESARO Berloni, la proposta di concordato è stata rigettata. Entro poche ore i liquidatori sono pronti a presentare ricorso, con la scure del fallimento che andrà avanti in automatico. Facciamo ordine. La storica azienda di cucine era stata messa in liquidazione alla fine del 2019. All’asta indetta dal tribunale di Pesaro l’aggiudicatario fu la Treasure Win di proprietà del tycoon taiwanese Alex Huang. 

 
I precedenti


L’imprenditore, ceo della multinazionale Thermos Company, con base a Schaumburg (Usa, Illinois), il più grande produttore di thermos e contenitori isolanti per alimenti e bevande del mondo, era già socio di Berloni nella cordata targata Taiwan che ne tentò il rilancio nel 2014.

L’acquisizione era stata fortemente voluta da Alex Huang dopo i tentativi passati di aumento di capitale e di acquisto di quote dagli altri soci. Non essendo stato possibile acquisire più del 65% del capitale, l’imprenditore aveva optato per la soluzione del concordato facendo un’offerta con la previsione del pagamento immediato e totale.

L'operazione

Una operazione da 2,8 milioni di euro con cui pagare debiti e ripartire. Ma venerdì scorso, il giudice ha respinto la proposta di concordato aprendo di fatto la strada del fallimento. Secondo quanto si apprende sembrerebbe che il concordato non fosse improntato a una continuità aziendale ma liquidatorio, visto che la società ad oggi è ferma. I legali sono però pronti a fare ricorso e presentarlo entro la settimana in corte d’appello per evitare il fallimento. Dagli 87 lavoratori rimasti si era passati a 26 e ormai tutti avevano trovato un nuovo impiego dopo le dimissioni. Ma restava circa mezzo milione di euro di arretrati da pagare ai lavoratori oltre al debito verso i fornitori e altri creditori.

Lo stabilimento era stato venduto alla Tecnoplast, con i macchinari finiti in un capannone in affitto a Talacchio. Giusppe Lograno, sindacalista Fillea Cgil sottolinea: «C’era tanta fiducia all’inizio e rammarico ora per un’azienda importante. Oggi ci sono famiglie che devono avere decine di migliaia di euro, sette buste paghe, il tfr. E persino i soldi del primo concordato. Ora rivogliamo i soldi che spettano ai dipendenti». L’analisi è amara. «Ormai sappiamo che non è più un’azienda che contribuirà allo sviluppo del territorio. Se dovesse fallire, il marchio potrebbe essere comprato a poco prezzo visto che ormai non è più operativa da tempo. E ovviamente potrà essere portato via da Pesaro per una produzione anche all’estero».


Per il sindacalista Cisl Paolo Ferri «una vicenda che ci lascia l’amaro in bocca. Un’azienda per cui si è tentato in più riprese un rilancio. Con l’acquisizione della compagine taiwanese si pensava che i fatturati potessero crescere, ma tutto è crollato. I lavoratori aspettano gli arretrati, vedremo come fare per recuperare quelle somme e quelle mensilità. Purtroppo è un’azienda storica del territorio, una perdita importante in un momento in cui l’industria e il legno stanno andando bene con ordinativi, fatturati ed export». Ultima nota, il marchio. «Che valore può avere? Non saprei, era un nome conosciuto nel mondo, non so se ci sarà ancora interesse».

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