Berloni, il vecchio socio per salvare lo storico marchio pesarese delle cucine componibili: ecco cosa può succedere

Berloni, il vecchio socio per salvare lo storico marchio delle cucine componibili: ecco cosa può succedere
Berloni, il vecchio socio per salvare lo storico marchio delle cucine componibili: ecco cosa può succedere
di Maria Cristina Benedetti
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Sabato 6 Novembre 2021, 04:40 - Ultimo aggiornamento: 10:18

ANCONA  - Ha dato seguito al suo resistere. Con tenacia. Ad avanzare la proposta che potrebbe cambiare il destino di Berloni è uno degli attuali soci. L’imprenditore originario di Taiwan Alex Huang, ceo della multinazionale Thermos Company, con base negli Stati Uniti, a Schaumburg nell’Illinois, si era da sempre dissociato dagli altri due compagni di cordata pur di evitare il baratro allo storico marchio pesarese di cucine componibili. Lui ha rappresentato il nocciolo duro di una storia iniziata nel mito e finita nella polvere. Ieri sarebbe arrivata la telefonata attesa da tempo.

Secondo indiscrezioni, è stato depositato al tribunale di Pesaro un piano di concordato preventivo che prevede la ristrutturazione e la ripartenza dell’azienda. Potrebbe tornare in pista. In sintesi, arriva un salvatore per quel brand in liquidazione. Sì, potrebbe essere davvero il cambio di rotta. 


Le mosse per un potenziale rilancio. Il liquidatore, Alessandro Meloncelli, dopo avere ricevuto l’offerta vincolante per l’intera società, ha presentato il piano di concordato preventivo. Le voci si rincorrono. L’imprenditore che arriva dagli Stati Uniti è pronto a rilevare l’intera azienda, marchio, macchinari e magazzino. Berloni potrebbe, dunque, ripartire. Subito. Lo stabilimento ora è a Talacchio, a pochi chilometri da quello originario, venduto per far fronte alle pressioni dei creditori. Il destino della storica griffe delle cucine marchigiane è, di fatto, nelle mani del giudice che dovrà decidere se omologare il piano che a oggi è l’unica alternativa al fallimento.


Nel riavvolgere il nastro delle vicissitudini si arriva al dicembre del 2019, quando l’azienda è stata messa in liquidazione.

Da allora sono trascorsi quasi due anni, nel corso dei quali è stato venduto l’immobile e sono stati pagati larga parte dei debiti. Il lockdown, il confinamento generato dalla pandemia, non ha favorito il processo di ristrutturazione, dilatandone i tempi. 


Ancora un passo indietro. Doloroso come l’altro. La crisi del gruppo era iniziata nel 2014: in quel momento tre imprenditori taiwanesi, tra cui Huang, avevano investito nell’azienda la cui gestione era rimasta in mano alla famiglia Berloni che l’aveva fondata nel 1960. Nei quattro anni successivi i tre soci avevano finanziato la società con una cifra, a quanto risulta dalle indiscrezioni, superiore ai 40 milioni di euro, senza tuttavia ottenere risultati. La crisi diventava sempre più evidente. Sui radar le coordinate si fanno dolenti. Da qui la scelta maturata nel dicembre 2019 di mettere la società in liquidazione e avviare un processo di ristrutturazione. 


Da allora ci sono state varie manifestazioni di interesse da parte di imprenditori anche italiani che non hanno avanzato proposte giudicate adeguate. Sul fronte dell’occupazione, degli 85 dipendenti degli esordi ne sono rimasti in campo una ventina che hanno continuato a lavorare per aziende terziste. Anche loro sono il nocciolo duro di una storia iniziata nel mito e finita nella polvere. 

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