Rinnovabili, Pesaresi (Chiron Energy Capital): «È mancato coraggio politico, perso altro tempo. Ora dalla Regione un gesto di responsabilità»

Rinnovabili, Pesaresi (Chiron Energy Capital): «È mancato coraggio politico, perso altro tempo. Ora dalla Regione un gesto di responsabilità»
Rinnovabili, Pesaresi (Chiron Energy Capital): «È mancato coraggio politico, perso altro tempo. Ora dalla Regione un gesto di responsabilità»
di Andrea Maccarone
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 01:45 - Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 15:06

Paolo Pesaresi, amministratore unico di Chiron Energy Capital, piattaforma di sviluppo e gestione di progetti sulle energie rinnovabili con sedi ad Ancona e Milano: il decreto “sblocca-rinnovabili” atteso da più di un anno, non ha passato per ora il vaglio delle Regioni, comprese le Marche.

Come legge lei questo comportamento? 
«È mancato il coraggio politico. L’amarezza sta nel fatto che le regioni non riescono a capire l’opportunità che c’è dietro la transizione energetica, che impone scelte politiche coraggiose. Se si chiama rivoluzione energetica vuol dire che ha bisogno di scelte forti». 
Quali sarebbero state queste scelte coraggiose? 
«Intanto il target dei 2.313 megawatt in più che le Marche avrebbero dovuto produrre entro il 2030, 80mila per l’Italia. Un obiettivo assolutamente raggiungibile per noi, ma solo se la politica regionale facesse una pianificazione concertata con i territori finalizzata ad individuare la superficie sufficiente ad accogliere gli impianti». 

 
Ora cosa si profila all’orizzonte? 
«Un ulteriore periodo di incertezza normativa e di rallentamento dei piani di transizione energetica. Quel target era ampiamente sufficiente per portare le Marche e l’Italia in una posizione di primo piano, stiamo continuando a perdere tempo».
Che cosa si aspetta ora dalla politica regionale? 
«Un gesto di responsabilità politica. Mentre, invece, temo che si imbocchi un percorso miope, dove si tende ad abbassare i target nazionali e quindi regionali. La transizione ecologica è un’opportunità, se invece la si vede solo come un problema non si andrà molto lontano». 
Oltre ai punti di forza, quali, invece, i punti di debolezza del decreto, così come era stato impostato nell’ultima bozza? 
«In caso di mancato raggiungimento dei target, la regione maglia nera sarebbe stata soggetta a penalità economiche e, in ultima ipotesi, al commissariamento per il rilascio delle autorizzazioni. A quel punto sarebbe stata Roma a decidere le aree dove realizzare gli impianti». 
Altre note dolenti? 
«Il tetto massimo del 10% di utilizzo delle aree agricole coltivate. Un limite perché per raggiungere i target c’è bisogno di impianti di grandi dimensioni. E una volta terminati i siti industriali, cave e discariche, inevitabilmente si dovrebbe andare su terre agricole. Un esempio: con il vincolo previsto nella bozza di decreto, per realizzare un impianto di 10mila mq, c’è bisogno di un terreno di 100mila mq di cui 90mila liberi e 10mila per le rinnovabili. Questo rischierebbe di frenare il raggiungimento degli obiettivi». 
Tempo fa lei ha dichiarato al Corriere Adriatico che la nostra regione, sul fronte delle rinnovabili, è piuttosto indietro. Come fare ad invertire la rotta? 
«Bisogna far capire alla politica regionale e alla comunità locale che la transizione energetica è qualcosa di ineludibile. Ma soprattutto è una grande opportunità di sviluppo sociale ed economico per il territorio. Autoprodurre energia vuol dire mantenere bassi i costi delle bollette per chi vive sul territorio ed evitare di costruire elettrodotti ad alta tensione per il trasporto di energia da altre regioni». 
Questo decreto avrebbe potuto aiutare a colmare il gap? 
«Come ho già detto, questo decreto conteneva elementi positivi per contenere il gap, ma le Regioni dovrebbero avere la responsabilità di attuarlo nel migliore dei modi. La differenza vera l’avrebbe fatta la legislazione regionale». 
 
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