L'ex procuratore Mario Paciaroni: «Processavo le Br (sotto scorta), adesso spiego i femminicidi ai ragazzi»

L'ex procuratore Mario Paciaroni: «Processavo le Br (sotto scorta). adesso spiego i femminicidi ai ragazzi»
L'ex procuratore Mario Paciaroni: «Processavo le Br (sotto scorta). adesso spiego i femminicidi ai ragazzi»
di Maria Teresa Bianciardi
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Sabato 23 Dicembre 2023, 06:46 - Ultimo aggiornamento: 25 Dicembre, 08:47

È un pioniere nella lotta contro la violenza di genere. Nelle sue lezioni spettacolo di legalità racconta ai ragazzi delle scuole superiori la genesi di questi orrendi assassini, entrando nella mente degli uomini che si trasformano in killer e così sensibilizza gli studenti, li sostiene nel percorso di consapevolezza, li aiuta a capire. E scuote le coscienze. Da quasi 10 anni questa è la missione del dottor Mario Paciaroni, ex procuratore della Repubblica di Macerata, Camerino e La Spezia: un magistrato che ha percorso la strada della giustizia in maniera integerrima, senza mai perdere di vista i diritti delle vittime ma anche degli imputati.

 
Dottor Paciaroni lei era conosciuto per essere un magistrato tutto d’un pezzo.
«Correva voce nelle carceri che i detenuti, quando si avvicinava il processo, dicessero: c’è Paciaroni? Lui è inflessibile e molto severo, ma se un imputato ha un diritto lo garantisce». 
Le è capitato di incontrare qualche persona che ha giudicato?
«Sì certo, c’era anche chi mi mandava gli auguri di Natale. Per me la presunzione di innocenza era un faro già prima che se ne parlasse».
Ci racconta un caso che in qualche modo ha influenzato anche la sua vita fuori dal tribunale?
«Nel carcere di Montacuto abbiamo processato l’ala movimentista della Brigate rosse che nel 1981 sequestrò a San Benedetto del Tronto Roberto Peci, fratello di Patrizio, brigatista pentito: si trattò di una vendetta trasversale e l’omicidio venne anche filmato. Durante il processo dormii tre notti nel carcere per la camera di consiglio e giravo con la scorta: gli agenti mi venivano a prendere a Pollenza e ogni volta facevano un percorso diverso. È stata un’esperienza molto forte, ma se devo dire la verità non ho mai temuto per la mia vita».
Perchè ha deciso di intraprendere questa carriera?
«Nutrivo una forte passione, fin da ragazzo andavo ad assistere ai processi: una volta un carabiniere mi fece uscire, ero ancora minorenne». 
I figli hanno seguito la sua strada? 
«Nessuno. Hanno detto che non avrebbero fatto la vita che ho avuto io. Il mio impegno era totalitario e spesso ho sacrificato la famiglia, per fortuna ho avuto accanto una moglie che mi ha sempre supportato». 
Nel 2015 è andato in pensione e ha deciso di proseguire il suo impegno nella lotta alla violenza di genere, iniziato qualche anno prima. Perchè?
«Per risvegliare le coscienze e sensibilizzare i ragazzi attraverso spettacoli teatrali, con un approccio non accademico ma realistico. Mostro ai giovani un filmato del ministero degli Interni molto ben fatto, poi mi confronto con loro e gli parlo di quello che è avvenuto a Ciudad Juárez, in Messico».
Cosa è successo?
«È conosciuta come la città che uccide le donne: dal 1993 sono oltre 2.250 le vittime di femminicidi. Lì è stato coniato questo termine e lì sono state create le scarpette rosse, simbolo della violenza di genere».
Quanti studenti ha incontrato fino ad oggi?
«Oltre diecimila e spero di riuscire ad incontrarne altrettanti».
Le è stato mai chiesto aiuto al termine di questi eventi?
«Molte volte. Ricordo in particolare una ragazza che venne da me con la mamma per avere un consiglio. L’ex fidanzato avrebbe voluto rivederla per l’ultima volta, per cercare di chiarire».
Cosa le ha detto?
«Di non andare, perché sarebbe stato davvero l’ultimo incontro della sua vita». 
Così è stata assassinata anche Giulia Cecchettin. Aveva solo 22 anni.
«Nei miei incontri racconto la tragica storia di una ragazzina di 15 anni ferita dal fidanzatino di 16 a Corigliano Calabro con 20 coltellate, poi cosparsa di benzina e data fuoco mentre era ancora viva. Un femminicidio brutale: quel ragazzo è stato condannato a 18 anni di carcere».
Il 25 novembre 2019 (giornata dedicata dall'Onu alla lotta contro la violenza di genere) ha debuttato con uno spettacolo dal titolo “Stalking Fatale”.
«Lo scopo del musical è stato quello di scuotere le coscienze su un fenomeno vergognoso, indice di una cultura maschilista e possessiva, radicata ancora in molti uomini sulla donna».
A gennaio proseguirà il suo impegno nelle scuole marchigiane.
«E il 10 marzo porterò nel teatro comunale di Pollenza “Stupri di guerra”, uno spettacolo socio-storico giuridico che ripercorre le violenze sessuali nei conflitti armati, ancora considerate come “bottino”.

Dall’antichità ad oggi, così sensibilizzo le nuove generazioni».

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