Ingegner Francesco Merloni, capitano d’industria e fine conoscitore dell’imprenditoria marchigiana. Da ormai molti anni la nostra regione non riesce ad esprimere figure di spicco a livello nazionale ed il rinnovo della squadra di Confindustria, che ci lascia a bocca asciutta, ne è solo l’ultimo esempio: quali possono essere le ragioni per cui non riusciamo più ad accedere alle stanze dei bottoni?
«Perché siamo troppo individualisti.
Al plurale di nome e di fatto, insomma.
«Sì esatto. Di certo, quello che ci manca è l’unione. Però, in altri contesti, le cose funzionano».
Per esempio?
«Come Fondazione Merloni abbiamo lanciato la cooperazione tra Marche, Umbria ed Abruzzo per il progetto sugli Ecosistemi dell’innovazione e le cose sono andate bene. Abbiamo anche vinto il bando nazionale, e tutto perché siamo stati uniti: tutte le università e le Confindustrie delle tre regioni hanno aderito».
Un progetto che dimostra come l’unione faccia la forza. Un paradigma che può riuscire a far superare alle Marche l’atavico attaccamento ai campanili?
«Il punto centrale è che è necessario fare squadra, altrimenti non si va da nessuna parte. Questo esempio dell’hub Hamu sta dando buoni risultati. Certo, i personalismi all’interno delle Marche sono comunque rimasti».
Come ricordava anche lei, il progetto di creare una Confindustria a perimetro regionale è tragicamente fallito: un caso emblematico di cosa non si dovrebbe fare?
«La mancata realizzazione di una Confindustria unica regionale è stata un po’ una questione di campanilismi, ma anche di settori diversi. Speriamo però che si arrivi presto all’unità. L’auspicio resta».
Nelle Marche, ci sono figure di spessore che potrebbero ambire a ruoli di rilievo in Confindustria nazionale, a suo avviso?
«Ce ne sono eccome, le Marche hanno una classe imprenditoriale diversificata e competente. Dobbiamo cercare però di essere meno individualisti e più collaborativi tra noi».
La sua famiglia è la dimostrazione plastica che, un tempo, le Marche riuscivano ad avere figure di peso a Roma: lei è stato ministro ai Lavori pubblici dal ‘92 al ‘94. Suo fratello Vittorio ha ricoperto il ruolo di presidente di Confindustria nazionale negli anni ‘80: come ci siete riusciti? E cosa è cambiato da allora?
«A mio avviso, più che un posto a Roma, l’importante è avere una visione comune. È vero, l’ultimo ministro delle Marche sono stato io ad inizio anni ‘90, ma i marchigiani sono brava gente: lavorano, producono e crescono. L’unica cosa che ci manca è l’unità».