E anche Confindustria ora snobba le Marche, nessun incarico nella nuova squadra del presidente nazionale Bonomi. «Non facciamo squadra»

Dalla politica all’economia, la nostra regione non riesce a far valere il proprio peso specifico. Parcaroli: «Se servisse mi incatenerei»

E anche Confindustria ora snobba le Marche, nessun incarico nella nuova squadra del presidente nazionale Bonomi. «Non facciamo squadra»
di Martina Marinangeli
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Sabato 23 Aprile 2022, 02:20 - Ultimo aggiornamento: 16:09

ANCONA - Altro giro, altra corsa (a vuoto). Ancora una volta, le Marche vengono lasciate fuori dalla stanza dei bottoni e restano impotenti a guardare l’assegnazione ad altre regioni di incarichi di peso a livello nazionale. L’ultimo buco nell’acqua in ordine di tempo riguarda Confindustria dove, alla scadenza di metà mandato, il presidente Carlo Bonomi ha rinnovato la squadra con tre avvicendamenti, e nessuno dei nuovi vicepresidenti è marchigiano, come non lo erano quelli da cui hanno ricevuto il testimone.

I nuovi ingressi sono infatti Katia Da Ros, veneta, Pasquale Lorusso, lucano, ed Agostino Santoni, lombardo.

Ma è in generale la squadra al vertice di Viale dell’Astronomia a far registrare la totale assenza delle Marche, anche tra le figure confermate, che sono Barbara Beltrame (veneta), Giovanni Brugnoli (lombardo) Francesco De Santis, (lombardo), Maurizio Marchesini (emiliano) Alberto Marenghi (lombardo), Emanuele Orsini (emiliano) e Maurizio Stirpe (Lazio), oltre ai vicepresidenti di diritto Giovanni Baroni (emiliano), presidente della Piccola industria; Riccardo Di Stefano (siciliano), presidente dei Giovani imprenditori, e Vito Grassi (campano), presidente del Consiglio delle rappresentanze regionali.

Le ragioni di una sconfitta
Ma perché le stanze del potere sembrano essere così inaccessibili per la nostra regione? «Perché non sappiamo fare squadra - va dritto al punto Francesco Casoli, patron di Elica e fine conoscitore delle dinamiche confindustriali marchigiane -: siamo molto individualisti e c’è rivalità. Non siamo neanche riusciti a fare una Confindustria unica regionale. Così non ce la faremo mai». Dettaglia poi il ragionamento. «La vicenda dell’aeroporto è emblematica: siamo molto contenti che ci siano i tre voli per la continuità territoriale (verso Roma, Milano e Napoli, ndr), ma è la dimostrazione che veniamo riconosciuti come territorio lontano dai giochi. Inoltre, le Marche sono piccole, sono come un quartiere di Roma, e alla fine il numero conta. Già siamo pochi, se ci presentiamo anche divisi, non andiamo lontani». 


Le figure di spessore
Eppure, le figure di spessore non mancherebbero: «Diego Mingarelli è stato ad un passo dal diventare presidente della Piccola Industria a livello nazionale – ricorda Casoli –. Non ci è riuscito perché alla fine è mancato l’afflato generale per spingerlo verso quel ruolo. Le persone ce le abbiamo, come Roberta Fileni, per fare un altro nome». Il problema non riguarda solo il mondo confindustriale, ma anche quello politico: da tempo immemore non batte bandiera marchigiana in un ministero. Cambia però la prospettiva il vicepresidente della Regione ed assessore alle Attività produttive Mirco Carloni, secondo cui «forse i rappresentanti nei posti che contano ce li abbiamo già, ma magari bisogna riuscire a fare in modo che si interessino ai problemi del territorio. In altre regioni, c’è più abitudine all’aggregazione, riescono a fare squadra. Le Marche non ce l’hanno come indole e questo ci limita. Nel deep state, quello che conta nei ministeri – fa notare il titolare della delega –, i marchigiani ci sono ma, rispetto ad altre regioni, è meno presente quel senso di fare squadra. Dobbiamo invece combattere tutti dalla stessa parte quando ci sono interessi territoriali. Il marchigiano che lavora nei luoghi del potere non sempre sente “il richiamo della foresta”». 


L’appello
C’è poi l’occhio del sindaco e dell’imprenditore ad ampliare l’orizzonte di una situazione decisamente poco rosea: «Le Marche stanno soffrendo per tanti motivi – osserva il primo cittadino di Macerata Sandro Parcaroli –, dalla guerra in Ucraina, al Covid, alla ricostruzione. Avere più voce in capitolo a livello nazionale ci aiuterebbe. Mi incatenerei a Roma per far capire quali sono i bisogni delle Marche, una regione che era tra le prime d’Italia ed ora si ritrova tra le ultime. Si deve fare squadra e creare una catena in cui ognuno metta la sua parte, altrimenti ognuno resta sul proprio binario mentre il treno passa».


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