L’ingegnere della dinastia che ha traghettato le Marche nella modernità non si affida a complicate congetture. Piuttosto sfronda. «La politica richiede sacrificio. Tanto sacrificio». Per Francesco Merloni l’arte del governare è quasi sacralità: «Una vocazione».
Le parole del presidente onorario della Ariston Thermo hanno la densità della vita vissuta. Entrò in parlamento, per la prima volta e come senatore, nel 1972 con la Dc. Venne rieletto in altre sei legislature, di cui cinque alla Camera e un’altra al Senato. Fu ministro dei Lavori pubblici nel primo governo Amato e in quello di Ciampi.
«Mi dividevo tra Roma e Fabriano; tra il Palazzo e l’impresa». Non era il tempo del vuoto di rappresentanza per questa regione, che oggi non riesce a guadagnare l’entrata nelle stanze dei bottoni. «Certo, ci manca un ministro», ma guai a esasperare i toni. Niente ricette per farcela ancora, nessuna formula per replicare il suo successo: Merloni piuttosto si affida a un aneddoto. «Vorrei ricordare De Gasperi. A un giovane, che voleva dedicarsi alla politica, scrisse: lavora, solo dopo potrai farla». Rimarca il passaggio: «L’importanza di una professione, per rendersi autonomi». E converte quella lezione in un appello, affinché scendano in campo «professionisti di valore». Semplifica: «L’ex premier Conte è un professore e un avvocato, non ha governato male».
Il declino
Uno scollamento. Enrico Giacomelli, che accompagna i suoi clienti nel viaggio verso la trasformazione digitale dei processi di business, non ha dubbi: «Dopo il declino della leadership fabrianese più niente, il vuoto». Va con l’eccellenza. «Francesco Merloni ha fatto impresa e politica in un altro momento storico, ma è altrettanto vero che s’è saputo adeguare. E Ariston Thermo è riuscita a mantenere la sue posizioni». Lo ammette: «Siamo in pochi, e a questo si aggiunge che oggi non abbiamo personaggi di peso in grado di rappresentarci». Fa della cronaca la dimostrazione del suo teorema. «Non è un caso che per risollevare le sorti del nostro aeroporto, con la creazione di una compagnia di bandiera marchigiana, si sia bussato alle porte di noi imprenditori». Sul tasto cruciale delle infrastrutture, che per sua deformazione professionale sono tecnologiche, incalza: «Oggi se non hai connettività dove vai? L’emergenza sanitaria lo sta dimostrando». E sul ritardo di questa terra prorompe: «Magari fossimo una regione del sud, potremmo avere qualche vantaggio. Ha ragione l’ascolano Ubaldi, siamo l’Italia dell’Est». Come riconquistare il terreno perduto? «Un’utopia. I partiti rimettano mano alla loro rappresentanza».
Le divisioni
Su tutto innalza la bandiera dell’unità possibile. Pierluigi Bocchini, leader della Clabo di Jesi, il top della vetrine refrigerate, e presidente di Confindustria Ancona, procede per gradi. E attacchi mirati. «Scontiamo, in modo sistematico, le nostre divisioni». L’altro lato della medaglia delle Marche al plurale. «Manca la volontà di raccontare il territorio nella sua interezza». E guai a dire che siamo pochi: «La Basilicata è più piccola di noi eppure esprime il ministro della Salute, la figura più importante dopo Draghi». Per consolidare il suo convincimento va indietro nel tempo: «Abbiamo avuto Forlani, Merloni, il vice ministro dell’Economia Baldassarri. Personaggi di altissimo livello». La sintesi: «Allora c’era un modo coeso di procedere». Lo scatto: «Ci dobbiamo concentrare sui contenuti più che sui colori della politica. Abbiamo il dramma delle infrastrutture e non riusciamo a coalizzarci, tutti, su quelli che sono gli interessi comuni. E intanto, in tre quarti della regione non c’è la banda larga».
Le difficoltà
Va fuori tema, per rientrarci dalla porta principale, Gabriele Miccini. «Non importa se c’è un marchigiano al governo, quel che conta è che ci sia qualcuno capace».
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