Le Marche dimenticate, Magistrelli: «Conti solo se scendi in strada»

Le Marche dimenticate, Magistrelli: «Conti solo se scendi in strada»
Le Marche dimenticate, Magistrelli: «Conti solo se scendi in strada»
di Maria Cristina Benedetti
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Mercoledì 3 Marzo 2021, 09:14

ANCONA - Si metta in fila Guzzini con le sue barricate contro le Ferrovie, prego. «Già fatto». Sulla scena del dibattito sul vuoto di rappresentanza delle Marche al governo prorompe Marina Magistrelli. «Era il 29 dicembre del 2009».

Era il binario uno, stazione di Ancona: la pioggia picchiava, il freddo pungeva. La prima che mise il piede sulla strada ferrata è stata lei, senatrice Pd, pendolare da sempre. «Oggi sono stati cinque minuti, la prossima volta sarà mezza giornata», metteva in guardia impugnando un tricolore. Non ha mai dimenticato un solo istante di quella protesta per dire no a tagli e soppressioni.

«Si metta in fila Guzzini» sembra voler dire. «Sulla tratta Ancona-Roma ci passavo le giornate.

Il viaggio poteva durare anche 5-6 ore. Quel disagio lo vivevo sulla pelle». Erano ferite di tutti, non propaganda. «Una volta - ricorda - andammo direttamente da Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato. A Roma». In quella missione, era assieme a due compagne di lotta e di scranno a Palazzo Madama: Silvana Amati e Luciana Sbarbati. «Non eravamo della stessa parrocchia. Comunista la prima, repubblicana la seconda, e io della sinistra cattolica di Prodi». Una per tutte, per le Marche. «Adesso l’individualismo della politica prevale sull’interesse a governare». Della serie: «Ti metto dentro il partito se sei della corrente». E dai radar sparisce il territorio. «Qualcuno sa chi abbiamo in Parlamento? Noi, ci conoscevano tutti». Torna a Moretti, che a quelle tre paladine della strada ferrata rispose picche: «Disse che la popolazione non era sufficiente a giustificare l’investimento». È la mannaia dell’alta velocità che da Torino a Salerno salta a piè pari la dorsale adriatica. «No all’emarginazione» gridavano al binario uno. Con la Magistrelli che oggi aggiusta il tiro: «Le Ferrovie ora potrebbero anche valutare di investire in zone turistiche e imprenditoriali che chiedono di essere valorizzate». Non molla l’ex senatrice.

L’amarezza

Una bandiera per due: condivideva tricolore e protesta la compagna Silvana Amati. «Occupammo i binari. Un atto forte. I parlamentari del territorio insieme al governatore Spacca. Eppure non ottenemmo nulla. Le abbiamo provate tutte». Rammenta anche lei l’amarezza del confronto con Moretti. «Pessimo. Ci disse che era interessato al bilancio dell’azienda». Ma rivendica l’impegno: «Noi sui problemi ci siamo sempre state fisicamente, politicamente e anche a Roma». Ribadisce: «Abbiamo sempre avuto un peso relativo». E indica la via che, oggi come allora, potrebbe essere l’unica percorribile per portare a casa il risultato: «Una class action». Entra nelle pieghe dell’azione comune: «Le regioni che hanno disagi simili ai nostri si dovrebbero unire e insieme decidere di non firmare il contratto di servizio per il trasporto ferroviario». Ci crede, al di là delle bandiere: «Oggi a Palazzo Raffaello c’è un governo di centrodestra, ma il colore politico non conta». Azione.

Le distanze 

C’era anche lui nella foto di gruppo in formato-lotta dura. «Era una protesta contro il taglio di alcune fermate». Luciano Agostini, con i colori e le ragioni del Pd, allora sedeva alla Camera. Ma tra il binario uno e il Parlamento non metteva distanze. «La causa di questa dimenticanza di rappresentanza dipende dal non essere collegati alla dimensione locale». L’esatto contrario di ciò che è immortalato in quello scatto di undici anni fa. «Non puoi fare solo la vita di palazzo. Magari paga nel breve periodo, ma alla lunga no». Una vicinanza che passa anche attraverso l’esercizio delle candidature: «Ci si dovrebbe opporre ai personaggi catapultati da fuori». Il territorio, che ripete come un mantra. «E che dire di quattro partiti che hanno commissari che vengono da fuori regione?». Arriva alla sintesi: quel vuoto viene da lontano e il governo non è che l’ultimo anello della filiera.

La legge

Dietro al grande tricolore sui binari lucidi di pioggia, accanto al duo Amati-Magistrelli, eccolo David Favia. «Sì, quando eravamo operai della politica». E dal piano emozionale, l’ex parlamentare dell’Idv, arriva all’analisi logica. «Le do due battute». Inizia dal problema della legge elettorale: «Se non si torna al proporzionale e alle preferenze, è una partita persa in partenza. Con i partiti che scelgono i candidati noi non avremo mai una vera rappresentanza. Vengono a occuparci da fuori». Poi passa al caso-Roberto Speranza, postilla del nodo precedente. «La Basilicata, benché più piccola di noi, non è stata brava a esprimere il ministro della Salute. Quella scelta è emanazione del partito, visto che Speranza è il segretario di Articolo Uno». Torna a battere sul punto: «Ribadisco: se non cambia la legge elettorale saremo sempre terra di conquista». La negazione dell’aderenza al territorio.

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