Lo chef stellato Uliassi: «Il pericolo c'è, non sono un fringuello. Chiusure necessarie? Spiegatele bene»

Lo chef stellato Uliassi: «Il pericolo c'è, non sono un fringuello. Chiusure necessarie? Spiegatele bene»
Lo chef stellato Uliassi: «Il pericolo c'è, non sono un fringuello. Chiusure necessarie? Spiegatele bene»
di Maria Cristina Benedetti
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Venerdì 30 Ottobre 2020, 09:00

Tradizione e innovazione al profumo di mare. Mauro Uliassi sfronda la formula di un successo globale con un disarmante «sono solo un cuoco». Il gusto della modestia.
Un team di oltre 30 persone, la sua preziosa brigata, per un ristorante valutato con tre stelle Michelin. E ora, cosa accadrà? Si spegneranno? 

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«Con la situazione che cambia continuamente è difficile fare previsioni.

Quest’anno abbiamo avuto pochi clienti stranieri, ma molti italiani del nord che hanno scelto la costa adriatica anche perché facilmente raggiungibile. Per noi è stata una buona estate».

Come concilia, un manager del food quale è lei, la paura per l’impennata del virus e il rischio che si sgretoli la tenuta sociale? 
«La paura esiste in tutti i settori. C’è incertezza e precarietà perché è tutto estremamente veloce. Nel precedente lockdown, prima di aprire io ho riunito il mio gruppo di lavoro e ho detto loro di non pensare a nulla, se non a organizzare il menu lab più spaziale di sempre. Così abbiamo fatto e ci è andata bene. Ma ora la situazione è si complicata di nuovo». 
Quindi? 
«Noi siamo un’azienda solida, un piccolo microcosmo. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di salvarci da questa situazione di grave difficoltà, cercando di fare sempre del nostro meglio in quello che sappiamo fare. La mia massima preoccupazione, assieme al benessere della mia famiglia e del mio gruppo di lavoro, è la tenuta sociale del Paese». 
L’ultimo Dpcm vi obbliga a chiudere alle 18, come se il virus circolasse solo la sera. Come giudica la scelta del governo? 
«Non sono in grado di discutere i provvedimenti delle istituzioni, non ne ho le competenze, ma penso che scelte così importanti vadano spiegate bene, in modo da dare a tutti gli strumenti necessari per capire perché vengono prese decisioni che hanno conseguenze reali sulla vita di tutti. Se le chiusure sono necessarie, è fondamentale dare sostegno economico immediato sia alle aziende sia alle persone più in difficoltà».
I ristoratori hanno dimostrato di avere sempre fatto il loro dovere, rispettando e facendo rispettare le regole a ogni cliente. Quanto, secondo lei, incide la ristorazione sull’aumento dei contagi? 
«Dobbiamo ammettere che questa estate si sono visti affollamenti un po’ ovunque, soprattutto la sera, sia in strada, sia nei bar e nei ristoranti di tutta Italia. Forse era necessario lasciar correre per dare un po’ di respiro all’economia. È sicuramente triste e frustrante, per chi ha rispettato comunque tutte le regole e ha speso soldi per mettersi in linea con le misure di prevenzione, essere costretto di nuovo a chiudere. Ma non sono un tecnico, dunque, non so quanto incidano i ristoranti sull’aumento dei contagi». 
Azzardi. 
«Alcuni dicono che siano più sicuri di altri posti, altre ricerche sostengono che invece siano tra i luoghi più a rischio, perché chi va a mangiare sta dalle due alle quattro ore in un luogo chiuso, spesso senza ricambio d’aria e senza mascherina, per ovvie ragioni».
La Regione potrebbe o dovrebbe chiedere una deroga? 
«Non ne ho idea, bisogna vedere come si evolve la situazione nei prossimi giorni. Noi avevamo un autunno promettente di fronte, ma la cosa più importante è tutelare la salute dei clienti e soprattutto di chi lavora. Personalmente, inizio a sentire reale il pericolo e la paura del contagio. Io ho 62 anni, non sono più un fringuello, sto bene e voglio continuare a star bene. I miei dipendenti anche». 
Tra la chiusura delle scuole e le cene al ristorante negate, può esserci una terza via? Lei l’ha individuata? 
«Ripeto, non ho la competenza per immaginare una terza via. Sono solo un cuoco». 
Sul piano emozionale, come vive questo secondo periodo di isolamento? Cosa le manca di più? 
«Cerco di rimanere calmo per rassicurare i miei dipendenti. Come tutti, mi manca la possibilità di programmare e la serenità di vivere senza preoccuparmi del virus. Insomma, mi manca la vita e la socialità di sempre. Siamo certi delle nostre capacità e della possibilità di superare qualsiasi difficoltà, ma siamo anche consapevoli della situazione straordinaria che stiamo vivendo».

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