Ci vorranno i prossimi 230 anni per mettere fine alla povertà

Ci vorranno i prossimi 230 anni
per mettere fine alla povertà

di ​Roberto Danovaro
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Martedì 23 Gennaio 2024, 03:50

Al Forum economico mondiale del 2024 che si è appena concluso a Davos, in Svizzera, hanno partecipato i leader mondiali provenienti da 120 Paesi, fra cui circa 60 capi di Stato o di Governo. Moltissimi i temi trattati: dall’emergenza climatica all’intelligenza artificiale. Tre temi, a mio avviso, sono di interesse fondamentale per tutti. Il primo è stato promosso dal Papa: le guerre e le ingiustizie accrescono la fame in molte regioni del Pianeta. Il secondo, è stato avanzato dal Segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: la lotta ai cambiamenti climatici, con la progressiva sostituzione dei combustibili fossili, è necessaria per ridurre gli impatti sulle economie e le perdite di vite umane. Il terzo tema ha toccato l’intelligenza artificiale che rischia di ampliare le disuguaglianze e per la quale è necessario un modello di governance giusto e aperto a tutti. Ma forse il tema più importante è stato quello delle disuguaglianze tra poveri e ricchi del Pianeta. Il rapporto presentato a Davos da Oxfam (l’organizzazione globale per la lotta alle disuguaglianze e alla povertà) presenta un’analisi cruda: l’1% della popolazione più ricca del mondo possiede il 43% di tutte le attività finanziarie globali ed emette tanto inquinamento da carbonio quanto i due terzi più poveri dell’umanità.

Dal 2020, i cinque uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato le loro fortune. Nello stesso periodo, quasi cinque miliardi di persone sono diventate più povere e la fame è una realtà quotidiana per molte persone in tutto il mondo. Ai ritmi attuali ci vorranno 230 anni per porre fine alla povertà, mentre nell’arco di soli dieci anni potremmo vedere la nascita del primo “trilionario” (ovvero un singolo uomo che possiede oltre un migliaio di miliardi). La concentrazione di potere e di monopoli globali sta aumentando la disuguaglianza nell’economia mondiale. Sette delle dieci aziende più grandi del mondo hanno un miliardario come amministratore delegato o principale azionista. Sfruttando i lavoratori, spesso anche minori, evadendo le tasse, privatizzando lo Stato e stimolando il collasso climatico, le aziende stanno favorendo la disuguaglianza e aumentando la ricchezza dei loro già ricchi proprietari. Questa ricchezza è concentrata nel Nord del mondo, dove vive il 21% dell’umanità che detiene il 69% della ricchezza privata mondiale.

Negli ultimi tre anni abbiamo vissuto una pandemia globale, due guerre, un’esplosione dell’inflazione e l’acuirsi della crisi climatica. Ogni crisi ha ampliato il divario tra Nord e Sud del mondo. Oggi, 4,8 miliardi di persone sono più povere rispetto al 2019. In tutto il mondo centinaia di milioni di persone vedono ogni mese diminuire il loro potere d’acquisto e le prospettive di un futuro migliore. Solo lo 0,4% delle oltre 1.600 aziende più grandi del mondo si è impegnato a pagare ai propri dipendenti un salario dignitoso. I paesi a reddito basso e medio-basso sono destinati a pagare quasi mezzo miliardo di dollari al giorno per coprire gli interessi e il debito pubblico da qui al 2029 e dovranno apportare tagli drastici alla spesa per poter ripagare i loro creditori. Questi tagli spesso colpiscono in modo particolarmente acuto le donne: a livello globale, gli uomini possiedono 105.000 miliardi di dollari in più di ricchezza rispetto alle donne, differenza che equivale a più di quattro volte la dimensione dell’economia statunitense. Negli Stati Uniti, il reddito di una tipica famiglia nera è solo il 15,8% di quello di una famiglia bianca “media”. In Brasile, per fare un altro esempio, i bianchi hanno redditi più alti di oltre il 70% rispetto a quelli dei discendenti afro. Negli anni a venire, il pericolo reale è che queste enormi diseguaglianze si consolidino fino a diventare la nuova normalità. Per porre fine alla disuguaglianza estrema e crescente, i governi dovrebbero ridistribuire le risorse dei miliardari e delle multinazionali alle persone comuni. Una speranza che qualcosa possa cambiare viene proprio dai più ricchi: oltre 250 miliardari e milionari hanno chiesto ai Governi di introdurre o alzare il prelievo sui patrimoni: «La nostra richiesta è semplice: vi chiediamo di tassare noi, i più ricchi della società. Questo non altererà radicalmente il nostro tenore di vita, non impoverirà i nostri figli e non danneggerà la crescita economica delle nostre nazioni ma trasformerà la ricchezza privata estrema e improduttiva in un investimento per il nostro comune futuro democratico». Sarà accolta questa richiesta? Temo di no.

*Professore ordinario 
all’Università Politecnica delle Marche titolare dei corsi di Biologia Marina, Ecologia ed Etica ambientale

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