Picchia la compagna ex miss a Fano
Confermata la condanna a 8 anni

Rosaria Aprea
Rosaria Aprea
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Lunedì 22 Febbraio 2016, 23:15 - Ultimo aggiornamento: 23:18

ROMA - Confermata, dalla Cassazione, la condanna a otto anni di reclusione per lesioni gravissime a carico di Antonio Caliendo che il 12 maggio del 2013, per motivi «futili e abietti» di inescusabile gelosia «punitiva», trascinò a terra la sua compagna Rosaria Aprea, miss di bellezza campana eletta a Fano, e le diede un calcio che le spappolò la milza. Una storia segnata dalla gelosia quella tra Rosaria e il 28enne Antonio, residente a Casal di Principe. Già nel 2011 Aprea finì in ospedale a Pesaro mentre partecipava ad un concorso di bellezza; il giovane infatti la raggiunse a Fano, dove c'era il concorso di bellezza Fano Yacht, e la picchiò selvaggiamente (il processo è iniziato alla fine del 2013). Nel maggio 2013 la 21enne fu poi portata d'urgenza all'ospedale di Caserta dove i medici le asportarono la milza che l'allora compagno le aveva spappolato con un calcio; oggi Rosaria non ha più l'ombelico, ha una lunga cicatrice, ma soprattutto quelle ferite le hanno compromesso la carriera di modella. 

 


Le motivazioni del verdetto della Suprema Corte - emesso lo scorso 16 dicembre - sono state pubblicate oggi dalla Quinta sezione penale nella sentenza 6892 che ha respinto tutti i tentativi dell'imputato di ottenere una riduzione della condanna inflittagli dalla Corte di Appello di Napoli, il 13 maggio 2015, e conforme a quella emessa con rito abbreviato dal gup. La difesa di Caliendo si è lamentata per il diniego delle attenuanti generiche e per l'entità della pena, e ha anche chiesto che la gelosia «punitiva» dell'imputato - che in passato aveva già picchiato la ragazza - non fosse considerata come un motivo «futile e abietto» che costituisce una aggravante, ma fosse valutata come gelosia «pura» che seppure collegata «ad un abnorme desiderio di vita in comune» non aggrava i comportamenti dolosi. Ad avviso degli 'ermellinì, la Corte di Appello ha dato atto «in maniera esauriente delle ragioni per cui nel caso concreto la gelosia doveva essere intesa» come «punitiva» integrando «l'aggravante dei motivi abietti».

La Cassazione ricorda il «costante atteggiamento ossessivo da parte dell'imputato che per un consistente periodo aveva impedito alla donna di avere relazioni sociali, di frequentare amiche, di coltivare i suoi interessi e le possibilità di lavoro, come nel caso della costrizione, ancora una volta violenta, ad abbandonare un concorso di bellezza». «A completare la disamina del ricorrere della gelosia intesa come senso di proprietà della persona, la decisione di appello - sottolinea la Cassazione - ha ripercorso le terribili modalità dell'aggressione che, in coerenza con i comportamenti precedenti, potevano appartenere solo a chi si fosse sentito, in sostanza, padrone della persona oggetto del suo desiderio».

La Cassazione inoltre, nel valutare la gravità del comportamento di Caliendo, rileva che l'uomo aveva abbandonato la ragazza dopo averla picchiata già a terra, nonostante fosse «molto dolorante», non aveva manifestato alcuna «resipiscenza», non aveva risarcito il danno ed aveva usato «crudeli modalità». Questi elementi hanno impedito la concessione delle attenuanti generiche e legittimato la pena quasi ai massimi di legge. Nel cestino, è finito il tentativo della difesa di Caliendo di sostenere che alla ragazza poteva essere spuntata una «milza accessoria» e che quindi l'organo non era stato del tutto leso.

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