Maxi discarica, l'esigenza nata da Marche Multiservizi e avallata dai sindaci. Aguzzi: «Rifiuti da altre regioni»

Maxi discarica, l'esigenza nata da Marche Multiservizi e avallata dai sindaci. Aguzzi: «Rifiuti da altre regioni». Nella foto il sito di Riceci e, nei riquadri da sinistra, l'assessore Aguzzi e l'ad di Mms Tiviroli
Maxi discarica, l'esigenza nata da Marche Multiservizi e avallata dai sindaci. Aguzzi: «Rifiuti da altre regioni». Nella foto il sito di Riceci e, nei riquadri da sinistra, l'assessore Aguzzi e l'ad di Mms Tiviroli
di Lorenzo Furlani
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Lunedì 7 Agosto 2023, 03:50 - Ultimo aggiornamento: 8 Agosto, 10:35

PETRIANO - Il caso Riceci, ovvero l’esigenza di una grande discarica per smaltire i rifiuti produttivi del territorio caldeggiata dalle associazioni imprenditoriali (Confindustria in testa), è stato creato dalla Provincia e dai Comuni. Cioè proprio da quei soci pubblici di Marche Multiservizi che, di fronte alla forte protesta popolare contro il progetto di interrare 5 milioni di tonnellate di rifiuti produttivi nella splendida piccola valle in vista di Urbino, cercano ora di stoppare l’operazione.

Le discariche riempite

Per meglio dire, il caso è nato dalla politica aziendale di Marche Multiservizi volta a riempire per ragioni di cassa le discariche strategiche gestite (Ca’ Lucio già satura e Ca’ Asprete prossima all’esaurimento al ritmo attuale di 129mila tonnellate all’anno di conferimenti) con i rifiuti industriali provenienti anche da altre regioni, ben oltre il limite del 50% dei rifiuti urbani abbancati previsto dal piano regionale, che ne circoscrive la provenienza alle Marche.

La Provincia e i Comuni riuniti nell’Assemblea territoriale d’ambito (Ata) hanno avallato questa politica dell'azienda dei servizi approvando nel marzo 2017, sulla base della proposta progettuale di Mms, un accordo di programma già deliberato dal consiglio provinciale.

L'accordo di programma

Lo scopo era quello di “rivedere lo scenario impiantistico delle discariche di Tavullia e Urbino (esclusa quella di Fano gestita da Aset, ndr) - si legge nella delibera - prevedendo per le stesse un’accelerazione delle tempistiche di chiusura rispettivamente in 10 e 5 anni a partire dal 2017, integrando i flussi dei rifiuti urbani con rifiuti speciali non pericolosi senza limiti di ambito, i cui proventi finanziari generati possono mitigare l’impatto finanziario dell’investimento del Tmb (trattamento meccanico biologico, ndr) per i primi due anni, fermo restando che dal terzo anno l’investimento e i costi di gestione dovranno trovare copertura all’interno delle tariffe”.

L'aspetto paradossale è che i rifiuti speciali sono arrivati puntualmente in modo massivo, insieme ai proventi finanziari, ma l’impianto Tmb, per un investimento previsto di 12 milioni di euro, non è mai stato realizzato (secondo l’Ata non è più urgente e se ne riconsidererà la necessità tra qualche anno).

Ora nuovo consumo di suolo

Quell’accordo di programma - che apriva alla necessità attuale di un nuovo consumo di suolo per smaltire non sono gli scarti delle imprese ma anche quelli delle utenze domestiche (rifiuti indifferenziati e residui della lavorazione delle raccolte differenziate) con il rischio di un’emergenza territoriale nel medio periodo - fu approvato da tutti i Comuni con soli 3 no: quelli di Fano, Cartoceto e Montelabbate (significativamente trasversali sul piano politico).

Si astennero Mondolfo, San Costanzo, Monte Grimano e Gradara.

Il riscontro di questa causalità è nei documenti. La società Aurora nell’istanza alla Provincia per l’autorizzazione della maxi discarica scrive, infatti, che «per continuare a dare risposta ai fabbisogni di smaltimento dei rifiuti derivanti dalle attività produttive e dalle attività di trattamento e recupero dei rifiuti della regione Marche, evitando di proseguire nel trasferimento dei rifiuti in altri territori, è fondamentale trovare altri sbocchi impiantistici per lo smaltimento».

Consumate le capacità residue

Eppure la Regione nel piano di gestione dei rifiuti del 2015 scriveva che, soddisfacendo pressoché interamente il fabbisogno di smaltimento dei rifiuti speciali delle imprese con l’apertura delle discariche strategiche a una quantità pari al 50% dei rifiuti urbani, sarebbero state «garantite ampie capacità residue alla fine del periodo di pianificazione (il 2020, ndr)». Capacità che sarebbero state «importanti» nella provincia di Pesaro Urbino.

Su questo argomento, l’assessore regionale all’ambiente Stefano Aguzzi è intervenuto mercoledì scorso alla festa dell’Unità di Urbino per sottolineare (confermando la correttezza dell’analisi espressa poco prima dall’assessore di Montelabbate Pierluigi Ferraro) che se fosse stata osservata la norma regionale sul conferimento dei rifiuti speciali non si sarebbe creata ora l’esigenza di una nuova discarica a Riceci di Petriano.

«Il triplo degli speciali»

«La regola del 50%, alla quale si sono attenute fedelmente 4 province marchigiane, con l’accordo di programma del 2017 non è mai stata rispettata in questa provincia - ha protestato Aguzzi -. Le discariche di Ca’ Lucio e Ca’ Asprete, in parte minimale anche quella di Monteschiantello, sono state riempite con rifiuti speciali provenienti da fuori regione: Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. Questo è il peccato originale della situazione attuale. E' stato portato il triplo dei rifiuti speciali che la Regione prevedeva. E siamo arrivati quasi alla pazzia che la Provincia e la maggioranza dei sindaci volevano ricorrere al Tar contro la Regione».

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