Pesaro, il viaggio diventa un incubo: «Bloccati dal Coronavirus in Perù per 6 mesi, finalmente torniamo»

Pesaro, il viaggio diventa un incubo: «Bloccati dal Coronavirus in Perù per 6 mesi, finalmente torniamo»
Pesaro, il viaggio diventa un incubo: «Bloccati dal Coronavirus in Perù per 6 mesi, finalmente torniamo»
di Gianluca Murgia
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Lunedì 8 Giugno 2020, 11:21

PESARO - Doveva essere una vacanza, è diventata un incubo. Sette pesaresi, domani, faranno finalmente ritorno dal Perù con un volo programmato dall’aeroporto militare della capitale Lima. Fino a Milano Malpensa saranno 13 ore di viaggio dopo essere rimasti bloccati, per mesi, nel Paese che per numero di malati di Coronavirus in Sud America è secondo solo al Brasile.

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E questo, nonostante sia stato il primo governo ad applicare un lockdown estremo, con uscite a sessi alternati in giorni stabiliti, e poi a prorogarlo quando in Italia si stava passando alla fase 2. Ancora oggi la serrata totale è prevista fino al 30 giugno con un ulteriore mese, quello di luglio, in cui verranno applicate misure definite di “emergenza”. Tra questi sette concittadini, alcuni dei quali di origine peruviana ma da anni regolarmente residenti nel nostro territorio, c’è un pesarese doc, Mirco Mengacci, che suo malgrado si è trovato prigioniero degli eventi, nella periferia di Lima, insieme a suo figlio di 4 anni e alla sua compagna. Erano arrivati a dicembre, dovevano ripartire il 28 febbraio. 
 

«Invece, sei mesi dopo, siamo ancora qui - racconta al telefono - Siamo venuti per trovare i miei suoceri. Per fortuna ci hanno ospitato loro. Era la nostra seconda volta, insieme, in Perù». Ad un certo punto, finiti i soldi, si è ingegnato cucinando e vendendo piadine e pizze al vicinato. «Avevamo i biglietti di ritorno già pagati con Klm per il 28 febbraio - racconta - Poi ci hanno avvisato che il volo era stato cancellato». Burocrazia e pandemia: binomio letale. Il ritorno a casa, rinvio dopo rinvio, è diventato un miraggio. Prima il 27 marzo, poi il 5 maggio. «Abbiamo aspettato il nostro volo, poi abbiamo saputo tramite un amico che stavano organizzando voli umanitari, anche se di umanitario c’è ben poco - sottolinea -. Abbiamo dovuto pagare 3mila euro per prendere questo volo quando tra andata e ritorno il costo è di 750 euro a persona. L’Ambasciata mi ha pure rimproverato che non dovevo aspettare tutto questo tempo perché i voli li stavano organizzando da maggio. Io gli ho risposto: dove tiro fuori i 3mila euro avendo già un volo pagato?».

E come li ha tirati fuori? «Mi sono fatto prestare i soldi dai miei genitori: sono anziani e vivono con la sola pensione di mio padre. Peraltro, come avevo accennato all’Ambasciata, io ho problemi di salute, di autoimmunità, e sono stato in una clinica privata qui a Lima per farmi curare a mie spese: in pratica i miei anticorpi lavorano al contrario, invece difendermi si alleano con il virus. E questo mi succede in situazioni di alto stress e/o nervoso». Un bersaglio “perfetto” per il Covid. «Noi non usciamo di casa dai primi di marzo. E si può immaginare come ha vissuto mio figlio questa situazione - continua Mengacci -. Con il lockdown tutte le domeniche nessuno può uscire di casa. La domenica è “immobilizzazione nazionale”. Per strada ci sono l’esercito e la polizia. Io sono innamorato del Perù ma c’è molta povertà e molti lavorano in nero come ambulanti vendendo cibo, vestiti e di tutto e di più. Se non lavorano, non mangiano. I mercati nonostante tutto sono affollati: per questo il contagio sta crescendo. Non è stato facile per niente: nessuno, da Ceriscioli a Ricci passando per l’entourage di Conte e Mattarella si è interessato nonostante ci fosse di mezzo un minore italiano, mio figlio. L’unica risposta è stata quella del sindaco che mi ha detto semplicemente di contattare l’Ambasciata, come se non lo avessi già fatto... Ceriscioli mi ha risposto dicendo che ne avrebbe parlato con Ricci... Solo rimpalli. Io ho avuto contatti con l’Ambasciata italiana a Lima e la Farnesina ma alla fine ci siamo dovuti arrangiare». Tra tanti appelli inascoltati merita allora un grazie “formato intercontinentale” la pesarese Cristiana Magnoni, titolare dell’agenzia “Anywherecall Anywhere travel” di viale 24 maggio - che con grinta e professionalità ha martellato l’Ambasciata peruviana in Italia e la compagnia aerea, la Neos, deputata ad organizzare i pochi voli disponibili. 


«Non è stato facile - racconta -. Siamo riusciti, tramite il codice che assegna l’Ambasciata, dopo aver riempito diversi moduli che dovrebbero dare una priorità ai rimpatri, a comprare i biglietti dell’aereo. Sabato mattina, invece, non risultavano posti assegnati nel volo. Così dalle 11 di mattina alle 17.30, fino all’attesa conferma dei biglietti, ho chiamato di continuo l’Ambasciata e lasciato messaggi al numero di emergenza in modo da stroncare possibili rimpalli. Ricevuti i biglietti li ho girati a loro via mail. La partenza è fissata per domani: si dovranno trovare prima all’Ambasciata. Ce l’abbiamo fatta».

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