Sulla cima del Monte Grappa, nel cuore del Veneto, un sacrario raccoglie le spoglie di tanti militi martiri della Grande Guerra. Cinque cerchi concentrici di gallerie, lumini, caselle a volte nominate e tante altre no, a chiudere in un abbraccio virtuale una fetta di passato mai del tutto dimenticato. Il Monte Grappa dell'avvocato Stefano Tizi non ha l'aspetto di una fortezza, non sorge sulla cima di un monte e non viene neanche menzionato sui libri di storia ma, in quanto a importanza, brilla come il suo omonimo veneto. Perché il Monte Grappa dell'avvocato Tizi è una via di Monte Urano: per l'esattezza, quella in cui è cresciuto e in cui i pomeriggi, le giornate d'estate, i momenti liberi e spensierati sono pezzetti di un'epica che molto ha in comune con quella delle grandi pagine della storia nazionale.
Il ricordo
«Ho abitato a Monte Urano fino ai 18 anni, quando mi sono trasferito all’Università ed è cominciato un periodo da pendolare con Macerata - specifica -. Monte Urano è il paese di mio padre, che aveva proprio lì la sua fabbrica di scarpe. Vista la sua attività e il lavoro di mia madre come insegnate, la gran parte della mia giornata si sviluppava proprio a via Monte Grappa, in pieno centro, dove abitavamo e dove, dal primo pomeriggio alla sera, era un vespaio di bambini di ogni età. Ogni giorno era un'avventura diversa, anche se la nostra specialità era la guerra con le cerbottane. La conformazione della via ci aiutava non poco: essendo stretta e lunga, via Monte Grappa era un serpentone di case che si inseguivano l'una vicino all'altra e si distanziavano poco dalle costruzioni sull'altro lato. Così noi ci nascondevamo sui vari balconi e, dai nostri nascondigli, innescavamo guerre all'ultimo sangue usando cerbottane e palline, ovviamente realizzate da noi in precedenza, di carta o cartone».
I colpi assestati erano tanti quanti quelli ricevuti: «Non c'era scampo e chiunque finisse nell'aria di tiro era un bersaglio o una vittima - dice Tizi - l'idea che fosse un passatempo pericoloso o che potesse sfociare in tragedia non ci ha mai sfiorato. Per noi era un gioco: divertente e senza conseguenze come solo sanno essere i pomeriggi ideati dai bambini usando le gambe e la fantasia».
Il percorso
«Ogni giorno - rimarca - avevo un tragitto preciso, una sorta di rituale di buon auspicio: parcheggiavo a via Mazzini o fuori le Mura, salivo le scalette che mi portavano alla facoltà ma, prima, un saluto e una preghiera nella chiesa vicina. Solo così potevo cominciare serenamente la mia giornata e potevo dedicarmi a quelle lezioni che mi sono rimaste nel cuore come un coacervo di bellezza e apprendimento. Ricordo ancora con tanto affetto quelle della professoressa Durigato, che mi ha fatto innamorare del Diritto privato. E come dimenticare il professor Serangeli: attraverso il Diritto romano mi ha spalancato le porte a un mondo che non conoscevo, con la passione e l’amore per il diritto».