L'avvocato Nicola Perfetti: «Quelle partitelle tra sudore e ferite»

L'avvocato Nicola Perfetti: «Quelle partitelle tra sudore e ferite»
L'avvocato Nicola Perfetti: «Quelle partitelle tra sudore e ferite»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 10 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 08:32

C’è chi lo cerca disperatamente, un centro di gravità permanente. Un porto sicuro, l’attracco a cui ancorare la vita alla ricerca di certezze. Può essere un luogo fisico o, meglio ancora, un’idea, un concetto, uno spazio più dell’anima che del mondo concreto, quel dove in cui sentirsi sicuri e a cui, richiamati da una misteriosa quanto oscura forza di attrazione, torniamo e torneremo sempre, con le gambe ma, soprattutto, con la testa, il cuore e i ricordi. Nei racconti dell’avvocato Nicola Perfetti, i frammenti di un passato che definisce felice e spensierato vengono attratti da quel centro gravitazionale che, per la sua memoria, è un altro tipo di centro: per l’esattezza, quello storico della sua Macerata.

Non è una questione di mappe e orientamento: nella geografia del cuore di Perfetti, ogni via è quella maestra che conduce diretta ai momenti più belli di quella «realtà non tecnologia e tutta analogica» in cui è cresciuto, fatta «di un centro storico iper popolato, con d’inverno i vicoli coperti di neve, immacolati nel loro candore e nella morbidezza di un manto che in certi punti neanche il passaggio dei pedoni poteva scalfire, con i suoi tre oratori e le infinite possibilità di aggregazione che hanno offerto», chiosa.

Il racconto

Varcata la soglia della città dei ricordi, il primo centro di gravità è raccolto dalle mura diroccate di un edificio che, per il bambino di allora, è caro come la più bella delle regge del re: da piccoli, la vera attrazione per me e i miei amici era Palazzo Marefuschi. Abbandonato e mezzo cadente, rappresentava un richiamo a cui era difficile resistere. C’era qualcosa tra quei mattoni che ci allettava e, allo stesso tempo, ci respingeva. Esattamente come il vicolo che lo circondava, che avevamo ribattezzato Vicolo delle streghe: in quell’area della città, il mistero si ammantava di fascino e il pericolo si vestiva di una deliziosa lusinga a cui però, e per fortuna, eravamo troppo terrorizzati per rispondere», ride.

Meglio, allora, rifugiarsi altrove: in lunghi più consoni e in porti più sicuri, dove a bloccare il respiro non era il terrore dei palazzi abbandonati ma le corse a perdifiato dietro al pallone sul campetto da calcio. Puntuale come ogni primavera, allora, si aprono nei ricordi le porte dell’oratorio del Duomo, con Don Ivo a salutare all'ingresso: «Appena l’aria cominciava a farsi più mite, il campetto di quell’oratorio diventava la nostra seconda casa», sentenzia Perfetti.

Il rito che dava avvio alla bella stagione era ben preciso: «Vista la particolare conformazione del terreno, per ovviare al fatto che il pallone potesse fuoriuscire dal perimetro dell’oratorio e finire sulla strada vicina, sopra al campo era stata sistemata una rete di fili di ferro. Non so a quando risalisse l’operazione: so solo che ai tempi in cui frequentavo io l’oratorio, la copertura era già arrugginita e cadente. Era per questo che, ogni inverno, per evitare che pioggia e neve la deteriorassero ulteriormente, Don Ivo faceva sistemare in mezzo al terreno dei grossi pali di sostegno. Salvata la rete, erano le nostre possibilità di gioco a farne le spese. Così, finché il campo non tornava agibile, le nostre partire si svolgevano sotto il portico del palazzo della sede attuale della facoltà di Scienze della comunicazione. Ma appena Don Ivo smantellava il tutto, via di corsa nel suo oratorio. Ho passato lì pomeriggi meravigliosi, tra partite infinite e sudate inimmaginabili, riportando non poche ferite di “guerra”. Ancora ricordo la volta in cui i miei mi portarono di corsa all’ospedale perché una scheggia della rete di ferro mi finì in un occhio quasi lesionandolo oppure quando, per una parata da pallone d'oro, mi fratturai ulna e radio. Feci la Comunione e l’esame di quinta elementare con il braccio ingessato, che mi faceva sembrare davvero un mutilato di guerra», ride Perfetti.

Le battaglie del passato, tra gol e tiri in porta, avevano un arbitro preciso: Don Piergiorgio, il parroco dell’oratorio dei Salesiani. «In terza media ho frequentato l’Istituto dei salesiani e, di conseguenza, il relativo oratorio. Ricordo ancora con grande affetto Don Piergiorgio e Don Ennio, che erano anche i miei insegnanti a scuola - comincia Perfetti -. Passavo lì tutta la mia giornata, tra le lezioni al mattino e il doposcuola al pomeriggio. Ma la parte più bella, erano i trenta minuti prima dell’inizio della sessione pomeridiana. In quella mezz’ora, io e un altro gruppo ristretto di amici organizzavamo delle partite di cui Don Piergiorgio era l’arbitro. Per ogni gol segnato, ci attribuiva un punto, che poi a fine anno decideva la classifica dei migliori goleador dell’oratorio».

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