Ci aspetta un Natale diverso ma non lamentiamoci troppo

Ci aspetta un Natale diverso ma non lamentiamoci troppo

di Giovanni Guidi Buffarini
4 Minuti di Lettura
Venerdì 27 Novembre 2020, 10:35

Niente pista di pattinaggio, niente ruota panoramica e attrazioni varie ed eventuali. Niente mercatini, nelle casette di legno o nelle bancarelle. Niente caldarrostai fumiganti, dei presepi viventi non so, credo li faranno e magari li renderanno fruibili via streaming, una diretta lunga due settimane, un bue e un asinello (vivi) in premio allo spettatore più assiduo. L’albero gigante nella piazza principale, quello non può mancare: e bello, non spelacchio. E le luminarie le stanno sistemando, penzolano ancora spente fra palazzo e palazzo. Ma, sotto le luminarie penzolanti in attesa di accensione, il passeggio (va da sé mascherato) è modesto, come piovesse e invece il sole splende e il punto di freddo è perfetto, un maglione e il giubbotto non serve allacciarlo. Niente file nemmeno di fronte a quei negozi che pur propongono sconti formato Black Friday (è oggi, ve ne foste dimenticati). O formato disperazione: ho visto i -50%, i -70%. Chissà se il disassembramento reggerà dal 15 dicembre in poi, credo di no e mi immagino il Corriere uscire il 20 col titolo cubitale «Insulti, spintoni, graffi e morsi per accaparrarsi l’ultimo maglione con l’alce che fa la cacca». (Un po’ troppo lungo? I colleghi della redazione sanno il fatto loro, sintetizzeranno a dovere, degli umani morsi e delle prodezze intestinali dell’animale effigiato si limiteranno a dar conto nell’articolo). E insomma l’aria natalizia puoi fiutare quanto vuoi ma proprio non riesci a percepirla. Il Natale 2020 sarà diverso da tutti quelli che abbiamo vissuto (e da tutti quelli che vivremo: non ti illudere, virus, la tua sorte è segnata). Sarà «un Natale spirituale», secondo l’auspicio del Presidente del Consiglio, cui in verità non spetterebbe sindacare sulla nostra spiritualità o assenza di? Mah. Per intanto registriamo la drastica diminuzione delle geremiadi sul Natale trasformato in trionfo del consumismo sfrenato. Fino all’anno scorso era impossibile non ascoltarle, già in questo periodo, di norma dalla bocca di signore e signori semisepolti sotto coltre di pacchi regalo, e un odoroso capitone al collo da congelare fino al cenone. Oggi si porta piuttosto la lamentazione rabbiosa sulla settimana bianca fortemente sconsigliata se non affatto vietata, conosceremo i dettagli nella prossima puntata della premiata serie “Dpcm”, l’ultimo trailer ventila quarantena bisettimanale obbligatoria per i ritornanti dalle nevi (estere).

E sull’impossibilità di riunirsi in dieci venti trenta attorno alla tavola imbandita, la conversazione puntualmente monopolizzata dalle avventure di scrivania e scartoffie del cugino Fulgenzio e, in contrappunto fitto, dal resoconto, identico parola per parola, Natale dopo Natale, dell’intervento alla cistifellea subito nel 1999 dalla cara prozia Lattanzia. Discorsi così avvincenti che la metà dei commensali s’alzava da tavola senza aspettare il secondo giro di panettone cioccolatoso prelibato, e si precipitava al cinema a vedere la qualunque. (E quest’anno niente cinema, privazione, questa sì, lancinante). Sarà un Natale diverso da ogni altro, e in un editoriale pubblicato l’altro giorno sul Corriere della Sera Pierluigi Battista manifestava il suo malessere. Commettendo però un errore che bisogna correggere. Laddove adombrava che il Natale distanziato piacerà, o quantomeno non dispiacerà, a «solitari» e «misantropi», «depressi» e «senza posto». Falso. Si fidi, il collega illustre, di un asociale (auto)certificato. Non c’è nessun gusto nell’essere veri asociali - non depressi, il depresso pare semmai Battista: auguri di riprendersi presto - quando tutti lo sono per obbligo. È al contrario bellissimo - divertente, creativo - inventare le scuse più astruse per rifiutare l’ennesimo invito a cena. «Mi dispiace tanto, sto andando a fare un golpe in Kamchatka con quaranta carrarmatini del Risiko». O, al trentesimo conoscente che ti ferma per augurare buone feste «a te e famiglia», rispondere «a te e a sòreta», sfoderando sorriso come stessi scherzando e invece no. E d’altro canto, la prozia Lattanzia non ci risparmierà la cistifellea minuto per minuto: via telefono. Sarà un Natale di cacca anche per noi asociali. Ma rimarrà un unicum: non è il caso di frignare.

*Opinionista e critico cinematografico


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