«Buon Natale a te e a sòreta» Come (non) rovinarsi le feste

«Buon Natale a te e a sòreta»
Come (non) rovinarsi le feste

di Giovanni Guidi Buffarini
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Venerdì 8 Dicembre 2023, 07:20

Manuale di istruzioni per superare indenni il Natale imminente, anzi il Natale che è già qui, le città invase dalle luminarie, dai mercatini, dalle attrazioni imperdibili. Ché per una larga maggioranza il Natale è la festa più festosa di tutte, ma esistiamo pure noi per cui il Natale è aspro cimento, noi che a Natale ci girano, come a tutte le feste comandate del resto, e il Natale è la più invasiva. (La vera festa, per quel che mi riguarda, è una circostanza inaspettata, un momento di felicità insperato, non allegria richiesta dal calendario: imposta per una mesata, per giunta). 1) Imparare a simularla, l’allegria da cui non siamo contagiati. Esiste pure un’etica del giramento. Natale è roba tosta per noi? Ma per la maggioranza (schiacciante) è la più bella delle feste, e far da guastafeste non va bene. Dunque: sorriso stampato, possibilmente non troppo ebete, e via andare. 2) Incrociando un tizio che non vi sta affatto simpatico e a cui non state simpatici, ma che, contagiato dalla festosità del periodo, lesto vi porge i suoi più vigorosi auguri, ricordarsi di rispondere «a te e famiglia». Replicare con un più sincero «a te e a sòreta» non si fa, fidatevi. 3) Dato che il buonumore rende loquaci, sarete inevitabilmente accalappiati da tizi desiderosi non soltanto di farvi gli auguri ma di ragguagliarvi su tutto ciò che è loro accaduto dall’ultima volta che vi siete visti, e magari son vent’anni (sotto Natale rispunta fuori gente che credevi morta). In tali circostanze si consiglia di punteggiare la conversazione di «oh», «mmh», «davvero?», «sì sì», «eh»: pensando nel frattempo agli affari propri. Se il tizio è intelligente, al vostro dodicesimo «mmh» guarirà dalla logorrea natalizia e vi lascerà liberi. Sennò, a voi troncare: con stile. Sarà superfluo sottolinearlo ma lo faccio lo stesso, voglio mica facciate irrimediabili figure di palta: pensare ai fatti propri mentre il logorroico si sfoga, espone al rischio di piazzare un «che bello!» proprio quando l’interlocutore vi ha reso edotti che il suo cagnetto è passato a miglior vita, «era vecchio ma è stato un grande dolore». 4) Capitolo cene.

Dicembre è il mese delle cene, le cene di dicembre sono un secondo lavoro. Per sfoltire le sfoltibili, prendetevi una serata e stilate un elenco di scuse accettabili. «Che peccato, mercoledì non ci sono. Vado in Lesotho, ho trovato i biglietti per il campionato mondiale di dressage dei leoni» emana quel lievissimo sentore di presa per i fondelli che l’organizzatore della cena può non gradire. Neppure «sono indietro col lavoro» va bene, se un attimo prima avete affermato d’essere in ferie «e per un’altra settimana dell’ufficio non voglio manco sentir parlare». E tossire platealmente ormai è inutile: del Covid non importa più niente a nessuno. 5) Per le cene sgradite epperò inevitabili, la giusta contraria si chiama cibo: un boccone via l’altro così da avere ineccepibile giustificazione per non conversare se non a colpi di «mmmh»: la parola magica nelle situazioni sgradite. Le abbuffate poi te le ritrovi addosso? Pazienza, la prova costume è lontana: un problema alla volta. 5) Capitolo regali. Ahi che stress. La strategia vincente è non pensarci. Non porsi il problema fino al 24. Pomeriggio. Tardi. Meglio un paio d’ore da incubo che giorni e giorni di vane riflessioni moleste. E in quelle due ore trafelate, acquistare cose a caso. E cosa appioppare a chi, deciderlo dopo. (Evitando di accoppiare il whisky di gran marca a zia Eufrasia, proprio ora che s’è decisa a frequentare gli Alcolisti Anonimi). 6) Per la passeggiata quotidiana, ovviamente ci terremo alla larga dalle vie più decorate, dagli Adeste Fideles intonati a squarciagola. Ottima occasione, fra l’altro, per scoprire angoli di città sconosciuti, stradine poco frequentate, meglio se poco e male illuminate. 7) Anche spuntare i giorni dal calendario può esser di conforto a chi non apprezza il periodo natalizio, la festa a forza, l’allegria a comando. Trenta, ventinove, ventotto. Un mese, dai, un mese solo, e potremo ripetere la battuta immortale: «Anche questo Natale se lo semo levati dalle palle». E ci godremo gennaio, la città non più sovreccitata (non perciò morta eh, ci auguriamo di cuore).

*Opinionista e critico cinematografico

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