Lavoro, welfare, ambiente e saperi sono i valori da preservare in Europa

Lavoro, welfare, ambiente e saperi sono i valori da preservare in Europa

di Francesca Spigarelli
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Sabato 20 Aprile 2024, 05:00

Questa settimana Mario Draghi ha anticipato il contenuto del rapporto sul futuro della competitività dell’Ue che sta predisponendo su richiesta di Ursula Von Der Leyen. Non potevo non concentrarmi su questo discorso, che ha riempito tv e giornali, con alcune voci anche molto critiche, come quella dell’ex ministro Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, che ha sottolineato come le anticipazioni di Draghi «prefigurano in realtà un tuffo nel buio, l’accanimento di una terapia sbagliata».

Vorrei soffermarmi su tre aspetti del discorso di Draghi: l’analisi delle fragilità europee, il metodo proposto per un «cambiamento radicale», gli interventi evidenziati come possibili pilastri della rinascita europea. Sintetizzo le fragilità principali identificate da Draghi, condivisibili, ma non esaustive (manca sorprendentemente, ad esempio, il tema delle migrazioni). Il ritardo: l’Europa assiste alle conseguenze forse non recuperabili delle (recenti) aggressive politiche protezionistiche e di attrazione degli investimenti in Usa e degli (ormai decennali) interventi cinesi di supporto alla supremazia tecnologica su industrie ad alta intensità di innovazione.

La resilienza mancata: alcune catene di approvvigionamento cruciali sono ancora molto fragili, compromettendo la capacità delle filiere produttive europee di resistere agli shock sistemici (a cominciare dall’energia, fino ai minerali critici e ai chip). La competitività sbagliata: gli stati membri hanno tipicamente attuato una rincorsa alla competitività delle proprie imprese, con un approccio fratricida. «Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo noi stessi come concorrenti», senza affrontare il tema della competitività esterna complessiva dell’Europa. Il capitale umano: in Europa manca forza lavoro qualificata sui profili cruciali per presidiare i processi di transizione verde e digitale. Passiamo all’analisi del metodo proposto da Draghi. Per dare speranza al disegno europeo, nel continuare a rappresentare un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile, Draghi evidenzia l’imprescindibilità di una politica industriale comune per il cambiamento strutturale, di lungo termine. Ho parlato in diverse occasioni in questo giornale, da economista industriale, dell’importanza della politica industriale: senza un disegno condiviso per un vero cambiamento strutturale non sarà possibile per l’Europa sopravvivere a causa della complessità del contesto globale, da un lato, e delle insidie alla coesione che arrivano da fenomeni economici, politici e tecnologici.

Secondo Draghi, è cruciale avere uno «strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche» da raggiungere a tutti i costi, eventualmente anche per step o con un «sottoinsieme di Stati membri». I pilastri su cui concentrare l’azione europea per la sua rinascita sono, nel disegno di Draghi, tre. Innanzitutto, le economie di scala: l’imperativo indicato è quello di contrastare la frammentazione. Qui il focus di Draghi è molto netto: l’industria della Difesa, che ricorre con molta insistenza in tutto il discorso e per la quale si auspicano acquisti coordinati e unità di azione europea. Contrasto alla frammentazione è anche ricercato nel settore delle telecomunicazioni e nel farmaceutico, specie per la necessità di standardizzare i dati dei pazienti.

Il secondo pilastro è indicato nella fornitura di beni pubblici.

Ancora una volta, il focus è la Difesa, a cui si associano reti energetiche e interconnessioni, infrastrutture di super calcolo. Il terzo pilastro riguarda l’approvvigionamento di risorse (tipicamente materie prime critiche) e input essenziali (termine che a sorpresa viene ancora utilizzato per indicare il lavoro), da mettere in sicurezza. Ho letto l’intervento con una altalena di reazioni. Ho condiviso le riflessioni sul tema della necessità di un cambiamento strutturale per l’Europa che solo una politica industriale comune, ampia e trasversale, può generare. Questo concetto è noto, ben chiaro, discusso sia nella dottrina sia nei dibattiti degli addetti ai lavori, da tempo. Mi sono trovata d’accordo anche sulla lettura delle fragilità che si sono generate in Europa a causa dell’assenza di una visione comune circa lo sviluppo del suo sistema industriale. Come commentato mesi fa da Patrizio Bianchi, già ministro della scuola e uno dei massimi economisti industriali italiani, «si deve valorizzare fortemente l’industria, che è l’epicentro delle nuove tecnologie, il luogo dove queste si integrano generando valore e occupazione; e perché non c’è modo di conseguire gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’Ue senza il pieno coinvolgimento dell’industria».

Le perplessità e lo stupore mi sono sorti leggendo i tre pilastri, in cui l’attenzione è posta anche su filoni di intervento in cui a fatica ritrovo il modello ed i valori europei. Tra questi la centralità dell’industria della Difesa, la privatizzazione della conoscenza o la curvatura delle infrastrutture di ricerca verso gli oligopoli, il riferimento ai beni pubblici per legittimare gli investimenti dello stato in ambiti non tipicamente legati al welfare e allo sviluppo. L’Europa che vorrei trovare in quella (necessaria) politica industriale comune è l’Europa che valorizza le proprie imprese e al contempo preserva lo stato sociale, in cui conoscenza e dati sono accessibili e aperti, in cui la transizione verde è promossa ampiamente (a tutela innanzitutto delle comunità), in cui si favoriscono condizioni di vita e di lavoro sostenibili e inclusive, in cui si promuove il ruolo della diplomazia a sostegno della pace, della mediazione e della cooperazione.

I valori europei dovrebbero essere un faro imprescindibile in qualsiasi azione che punti alla trasformazione strutturale dell’Europea, per garantirne la preservazione e il rafforzamento. Robert Schuman, nel 1950, proponendo la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio evidenziava: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche». Il mondo è cambiato, come dice Mario Draghi, ma non i nostri valori fondanti.

* Professoressa ordinaria di Economia applicata all’Università di Macerata

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