La commovente storia dell’orca e del cucciolo

La commovente storia dell’orca e del cucciolo

di Roberto Danovaro
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Giovedì 12 Dicembre 2019, 10:53 - Ultimo aggiornamento: 27 Dicembre, 22:21
Le orche in Mediterraneo ci sono sempre state. Così come il grande squalo bianco e lo squalo martello. Ma il numero di questi grandi animali è crollato dal 90 al 99% nell’ultimo secolo, ed erano molti anni che le orche non venivano più segnalate in Mar Ligure. Alcuni anni fa, se ricordo bene, è stato avvisato un solo esemplare a largo della Sardegna. Mentre alcuni decenni orsono si avvistavano diversi esemplari in prossimità della tonnara di Camogli. Le orche probabilmente erano attratte dai tonni e squali intrappolati nella tonnara. Le orche sono dei maestosi predatori, all’apice della piramide trofica. Sono mammiferi (proprio come noi, non sono pesci!) di grande intelligenza e sono assolutamente innocui per l’uomo. Infatti, non sono mai stati registrati attacchi a nuotatori o subacquei, ma sono allo stesso tempo predatori particolarmente temibili per molte creature del mare. Ad esempio, le orche sono le uniche in grado di predare anche lo squalo bianco. L’arrivo di una famiglia di orche davanti a Cape Town in Sud Africa negli ultimi mesi ha spostato di 300 chilometri l’area di caccia degli squali bianchi che erano da anni stanziali nella zona. Insomma, dove ci sono le orche, gli squali scappano. Le orche sono animali estremamente intelligenti, proprio come i delfini. Riconoscono gli oggetti in acqua. Non temono l’uomo. Sviluppano una elaborata vocalizzazione e un linguaggio familiare che permette loro di comunicare in modo articolato anche a notevole distanza. Gli studi compiuti in questi anni, dicono anche che questi organismi si muovono in branchi familiari. Con i piccoli che seguono i genitori anche per molti anni. Sviluppano cure parentali estremamente complesse. Gli adulti insegnano ai loro cuccioli come mangiare, allenandoli alla caccia. Proprio come fa la leonessa con i suoi cuccioli. Recenti studi hanno anche dimostrato che questi predatori sviluppano tecniche sofisticate di predazione e le riescono ad insegnare anche a altri membri del branco. Sono animali sorprendenti. Tuttavia, quello che è successo nelle acque del porto di Genova in questi giorni ha dello straordinario. Ricapitolo la storia per chi ancora non l’avesse sentita nei telegiornali: una famiglia di orche con il suo cucciolo entra nelle acque prospicenti al porto di Voltri a Genova, non distante dal ponte Morandi crollato. Dopo qualche giorno, il piccolo muore, per ragioni non ancora accertate. Ma la mamma non lo accetta, e continua a spingere il piccolo verso la superficie per molti giorni. Senza mangiare, senza dormire, spingendolo continuamente verso l’alto nel tentativo disperato di farlo respirare e rianimarlo. Ovviamente senza speranza. Il piccolo è morto. L’attaccamento di una madre al piccolo è cosa che noi umani conosciamo bene, ma che fosse così forte anche in un cetaceo non era cosa nota. Questa estate una femmina di capodoglio era morta nel tentativo di salvare il proprio cucciolo intrappolato nella rete derivante dovuta alla pesca illegale in Mar Tirreno. Li hanno trovati a galla, uno vicino all’altra, con il piccolo asfissiato a causa dell’impossibilità di respirare e lei morta, forse per lo sforzo, con i denti ancora impigliati nella rete nel disperato tentativo di reciderla. Ma un attaccamento così lungo e alla prole, per quanto a mia conoscenza, è unico. Forse l’attaccamento tra familiari di questi grandi cetacei può spiegare alcune morti collettive, come nel caso di molti capodogli, alcuni spiaggiati sul litorale. Ora il piccolo di orca si è inabissato e non si trova più. Ma la femmina continua a cercarlo. Sicuramente lo sta chiamando e non risponde. Forse le correnti lo stanno trascinando altrove, mentre rotola sul fondale. Una storia straziante che mi ha commosso, e che spinge tutti a fare una ulteriore riflessione sulla protezione di questi meravigliosi mammiferi. Stiamo facendo ancora troppo poco per la loro salvaguardia. Il santuario dei cetacei è un parco marino solo sulla carta. La maggior parte di questi grandi mammiferi muore, investita da grandi traghetti e navi veloci che viaggiano a velocità oltre i 15 nodi. Basterebbe che viaggiassero a meno di 10 nodi e questi cetacei riuscirebbero a scansarli. Dobbiamo proteggere questi meravigliosi animali. Questa storia commovente ci insegna qualcosa in più sulla natura intorno a noi e ci spinge, spero, a fare di più per la protezione dell’ambiente.

*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine
 
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