Ridurre la spesa corrente limitando bonus e sussidi

Ridurre la spesa corrente limitando bonus e sussidi

di Donato Iacobucci
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Giugno 2022, 17:46

La recente decisione della Banca Centrale Europea (Bce) di alzare i tassi di interesse al fine di contenere l’inflazione ha fatto riemergere la questione del debito pubblico italiano. Siamo fra i paesi con il più alto debito pubblico in valore assoluto (circa 2.700 miliardi) e fra quelli con la più alta percentuale debito/Pil (150%). L’incremento dei tassi di interesse provoca un considerevole impatto sul costo del debito. Il salasso non è immediato poiché la durata media del debito italiano è di circa 7 anni e i maggiori costi sono pagati sulle nuove emissioni. Se però le aspettative d’inflazione e il rialzo dei tassi d’interesse dovessero confermarsi nei prossimi anni i maggiori oneri per interessi determinerebbero una consistente riduzione delle possibilità di spesa dello stato italiano. Il grido d’allarme arrivato dalle forze politiche per le decisioni della Bce è quindi giustificato ma non si può dire che si tratti di una situazione inaspettata. Quando l’Italia decise di entrare nell’Euro si sottolineò che a fronte della perdita di autonomia nella politica monetaria uno dei principali vantaggi sarebbe stato quello di poter godere di tassi di interesse sul debito molto minori di quelli che i soggetti nazionali, pubblici o privati, avrebbero pagato sul debito in lire. Si disse anche che avremmo potuto approfittare della riduzione degli oneri per interessi per ridurne l’entità del debito e rientrare nel rapporto debito/Pil. In realtà non abbiamo approfittato dell’occasione: il rapporto debito/Pil è calato di poco fra il 2001 e il 2007, dal 109% al 104%, per poi risalire bruscamente per effetto della crisi finanziaria del 2008-2009. Siamo così arrivati alla soglia della crisi pandemica con un rapporto debito/PIL al 135%, salito al 155% a fine 2020. Per i prossimi anni è prevista una riduzione del deficit (differenza fra spese e entrate nell’anno) e una conseguente riduzione del rapporto debito/PIL, che dovrebbe attestarsi al 141% nel 2025. È una previsione che potrebbe però rivelarsi ottimistica a causa del rallentamento dell’economia europea e mondiale generata dal protrarsi della guerra in Ucraina. L’Italia sembra essere entrata in un circolo vizioso per cui l’aumento del debito pubblico riduce gli spazi di manovra della finanza pubblica e rende sempre più difficoltose politiche di bilancio volte alla sua riduzione.

Negli ultimi tempi si è diffusa la convinzione che la riduzione del rapporto debito/Pil può essere perseguita facendo crescere il Pil. Obiettivo non semplice poiché la crescita è frutto di investimenti produttivi, imprenditorialità e lavoro di qualità; elementi da tempo declinanti nel nostro paese. Il Pnrr dovrebbe rivitalizzare soprattutto gli investimenti ma per imprenditorialità e lavoro occorrerebbero misure di lungo periodo delle quali al momento sembra esservi scarsa evidenza. Nei prossimi anni le persone in età da lavoro diminuiranno in modo significativo. Allo stesso tempo siamo fra i paesi con i più bassi tassi di attività, soprattutto femminile, con una delle quote più elevate di Neet (cioè di giovani che non studiano e non lavorano) e con bassi livelli di formazione superiore e universitaria. Per aumentare il lavoro di qualità occorrerebbe un investimento nel sistema dell’istruzione ben maggiore di quello attuale; dalla scuola primaria fino all’università e alla formazione permanente (life-long learning). Negli ultimi decenni siamo andati nella direzione opposta; il nostro paese è l’unico fra quelli avanzati ad aver ridotto la spesa per istruzione. Lo stato della finanza pubblica italiana è destinato ad indurci a scelte drastiche nei prossimi anni. Se non vogliamo continuare a scaricare l’onere dell’aggiustamento dei conti pubblici sulle prossime generazioni occorre ridurre la spesa corrente, limitando bonus e sussidi alle situazioni di effettivo disagio, e concentrare la spesa pubblica sugli investimenti produttivi e sulla qualità del lavoro. Su questa necessità sembra esservi scarsa consapevolezza mentre prevale l’idea che la crescita si possa conseguire alimentando la spesa pubblica corrente. Con il risultato di far crescere ulteriormente l’onere del debito a carico delle prossime generazioni.

Docente di Economia alla Politecnica delle Marche
e coordinatore Fondazione Merloni

© RIPRODUZIONE RISERVATA