Ricerca in ambito industriale: più capacità di cooperazione

Ricerca in ambito industriale: più capacità di cooperazione

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 10 Gennaio 2024, 02:50

Gli shock sul sistema produttivo causati dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina hanno determinato un deciso ripensamento delle politiche industriali nella Ue. Negli scorsi decenni i consumatori europei si sono grandemente avvantaggiati della possibilità di acquistare prodotti a basso costo provenienti dalla Cina e dagli altri paesi dell’Est Asia. Questo ha determinato lo spostamento di intere filiere di produzione verso questi paesi e la perdita di una parte consistente di occupazione e capacità produttiva in molti settori manifatturieri. La convinzione diffusa era che queste perdite sarebbero state più che compensate dai vantaggi della globalizzazione.

I paesi più avanzati si sarebbero specializzati nei servizi e nelle produzioni a più alto valore aggiunto mentre i consumatori europei si sarebbero avvantaggiati della possibilità di acquistare prodotti a prezzi contenuti. Anche nell’ambito della stessa filiera produttiva l’idea è che bastasse mantenere il controllo delle fasi a più alto contenuto di conoscenza, come la progettazione o la distribuzione, spostando quelle manifatturiere nei paesi a più basso costo del lavoro. In realtà la perdita di capacità produttiva nell’ambito UE non si è limitata ai settori tradizionali e ai prodotti a basso costo.

Quasi tutta la filiera dell’elettronica, dai componenti fino ai prodotti finiti, si è trasferita nei paesi dell’Est Asia. Comprese alcune tecnologie, come il fotovoltaico, che sono diventate chiave nell’ambito della transizione energetica. Anche in quelle filiere nella quali la UE aveva mantenuto alcune parti ci si è resi conto che perdere la produzione determina anche una progressiva perdita della capacità di innovazione e di controllo delle tecnologie. In sostanza, si è capito che la manifattura conta e che l’impoverimento della capacità produttiva non aumenta solo la dipendenza dall’esterno ma riduce la capacità di generare innovazione e di controllare lo sviluppo delle tecnologie.

Nell’articolo di lunedì scorso su questo giornale il collega Michele Germani ha ben tratteggiato i cambiamenti epocali che saranno determinati in molti ambiti produttivi dalle applicazioni dei robot umanoidi e dell’intelligenza artificiale.

Non è un caso che le imprese citate in quell’articolo siano tutte asiatiche o statunitensi. Al pari di altri settori, anche in questo caso ci rimane solo il ruolo di bravi utilizzatori di tecnologie sviluppate altrove. E’ una constatazione che vale per molte delle tecnologie digitali che stanno diventando strategiche in tutti i settori.

Per questo la Commissione Ue ha di recente prodotto alcuni documenti che sottolineano la necessità di una nuova politica industriale nella quale sono stati introdotto concetti, come quelli dell’autonomia strategica o della sovranità tecnologica, prima del tutto assenti. Essere consapevoli dei problemi è un buon passo; ottenere risultati è meno semplice, anche perché in molti di questi ambiti il terreno da recuperare è notevole. Tra l’altro in questi nuovi indirizzi la Ue vuole evitare politiche protezionistiche e vuole anche mantenere standard elevati di protezione del lavoro e dell’ambiente.

Un equilibrio che non sarà semplice mantenere. Il rinnovato interesse per la ricerca e l’innovazione in ambito industriale è una buona notizia per l’Italia, che rimane uno dei principali paesi manifatturieri del continente. La Commissione ha individuato 14 ecosistemi industriali sui quali concentrare l’attenzione. Alcuni di questi, come il tessile, l’agri-food o le industrie culturali e creative, ci riguardano in modo particolare. Dati i vincoli di finanza pubblica del nostro paese la disponibilità di programmi e risorse in ambito Ue è una grande opportunità. Su di esse, però, la competizione è elevata e la nostra capacità di attrarle per nulla scontata.

Il nostro sistema industriale, come noto, è ricco e diversificato ma anche particolarmente frammentato e disunito. Per questo sarà decisiva la capacità di cooperazione fra i diversi attori coinvolti - policy maker, imprese, università – al fine di individuare le priorità di intervento e coordinare le azioni. La partita è decisiva e non è detto che ci saranno accordati i tempi supplementari.

* Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni

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