Imprese proiettate all’estero. Atim, due strade per correre

Imprese proiettate all’estero. Atim, due strade per correre

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 28 Febbraio 2024, 04:20

Nelle scorse settimane il Corriere Adriatico ha dedicato diversi articoli d’inchiesta sull’attività dell’Atim (l’Agenzia per il Turismo e l’Internazionalizzazione delle Marche) e sulla relazione contrattuale con Aeroitalia per l’attività di promozione turistica della regione. Come ha sottolineato Martina Marinangeli nell’edizione di venerdì scorso, il ruolo dell’Atim non riguarda solo la promozione dei flussi turistici ma anche il sostegno all’internazionalizzazione del sistema produttivo.

Un ruolo estremamente importante poiché anche in questo ambito la nostra regione ha terreno da recuperare, su diversi fronti: la vendita di prodotti e servizi nei mercati esteri (export); l’attrazione di investimenti da parte di investitori internazionali; gli investimenti nei paesi esteri da parte delle imprese regionali. Negli anni post pandemia l’export regionale ha mostrato buone performance di crescita, seppure differenziate fra i settori. Al di là dell’andamento congiunturale e delle performance settoriali, la propensione ad esportare della regione, misurata dal rapporto fra valore dell’export e Pil rimane decisamente inferiore a quello osservata in altre regioni manifatturiere.

Nelle Marche il valore è intorno al 30% ed ha mostrato una tendenza alla riduzione nell’ultimo decennio. In Emilia-Romagna, Toscana e Veneto il rapporto è intorno al 45% e con una tendenza all’aumento nell’ultimo decennio. Vi è quindi sicuramente spazio per incrementare la capacità di export delle nostre imprese individuando i mercati più promettenti per potenziale di crescita. Alcuni di questi mercati sono geograficamente lontani e non facili da penetrare, anche in considerazione della ridotta dimensione media delle imprese esportatrici. Nell’ultimo decennio il numero di imprese regionali che esportano si è ridotto, da circa 8.000 un decennio fa alle 6.200 degli ultimi anni. Nello stesso tempo è cresciuto il valore medio esportato: da 1,4 a 2 milioni di euro.

Questa tendenza riflette le crescenti difficoltà ad operare con efficacia sui mercati esteri e prefigura un tipico dilemma per le azioni di sostegno e promozione: se privilegiare politiche selettive, orientate ad un numero limitato di operatori (picking winners), oppure puntare ad allargare la platea degli esportatori.

Nel primo caso si privilegia il risultato, nel secondo si privilegia il numero di beneficiari, anche sacrificando l’efficacia degli interventi.

Nel caso degli investimenti diretti le politiche pubbliche tendono a privilegiare l’attrazione di investimenti sul territorio da parte di investitori esteri. Quelli in uscita sono invece associati alla delocalizzazione di attività e come tali da non incentivare se non da scoraggiare. Queste considerazioni valgono soprattutto quando si considerano investimenti di tipo green field volti cioè a costituire nuove attività. In realtà, la grande maggioranza degli investimenti diretti esteri nei paesi avanzati è finalizzata ad acquisire il controllo di imprese già esistenti piuttosto che crearne di nuove. Da questo punto di vista l’investimento di Amazon in Vallesina è un’eccezione piuttosto che la regola. L’acquisto di imprese regionali da parte di multinazionali estere può risultare vantaggioso per le prospettive di mercato ma comporta lo spostamento dei centri decisionali e di alcune funzioni avanzate fuori regione.

Anche nel caso degli investimenti diretti all’estero delle imprese regionali vi possono essere vantaggi e svantaggi. Il rischio maggiore è quello della delocalizzazione di attività ma il controllo di attività produttive e commerciali all’estero può essere fondamentale per una migliore penetrazione dei mercati e per espandere attività e funzioni che rimangono nell’ambito regionale.

L’evidenza empirica suggerisce che una maggiore apertura internazionale è vantaggiosa per i territori. Finora nelle Marche sono prevalsi i flussi di investimenti in entrata rispetto a quelli effettuati all’estero da parte di imprese regionali. Nel complesso, entrambi i flussi sono limitati rispetto al potenziale del sistema produttivo regionale. Anche in questi ambiti, quindi, vi sono grandi margini di intervento per le attività di promozione da parte di Atim.

* Docente di Economia  all’Università Politecnica   delle Marche e coordinatore  della Fondazione Merloni

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