Se attiriamo pensionati nel cratere poi dobbiamo garantirgli servizi

Se attiriamo pensionati nel cratere poi dobbiamo garantirgli servizi

di Donato Iacobucci
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 7 Febbraio 2024, 04:00

Nell’editoriale di martedì 30 gennaio su questo giornale Lolita Falconi ha sollevato la questione degli interventi da mettere in campo per contenere lo spopolamento delle aree interne e di quelle montane in particolare. Tema rilevante per molte regioni del nostro paese e per la nostra in particolare dato che molte di queste aree ricadono all’interno di quelle colpite dagli eventi sismici del 2016 e per questo oggetto di importanti interventi finalizzati alla ricostruzione del patrimonio edilizio danneggiato e al rilancio dello sviluppo. L’auspicio, formulato alla fine dell'articolo, è che ricostruzione e ripopolamento vadano di pari passo. Ragionare di ripopolamento delle aree interne implica l’utilizzo di un artificio retorico; sarebbe preferibile parlare di contenimento dello spopolamento. Secondo le ultime previsioni fornite dall'’ISTAT le Marche nei prossimi 10 anni perderanno circa 40.000 residenti e l’Italia oltre un milione.

Una riduzione che in media sarà più accentuata nelle aree interne. Queste previsioni tengono conto dell’apporto dei flussi migratori che nemmeno nelle ipotesi più rosee (o più disastrose a seconda di come si guardi al fenomeno) saranno in grado di compensare il saldo naturale negativo. In questa situazione se un comune riuscisse a mantenere o accrescere la popolazione determinerebbe una perdita ancora più accentuata in altri. Con più probabilità i tentativi di attrarre popolazione sono destinati a neutralizzarsi a vicenda e il risultato sarà un generalizzato spopolamento, come previsto dall’Istat. In realtà la proposta discussa da Lolita Falconi, ripresa dalle proposte di alcuni sindaci, è decisamente più ambiziosa: istituire una no-tax area per le aree montane con l'obiettivo di attirare pensionati dal resto del paese. Ad imitazione di quanto fatto dal Portogallo per i pensionati dei paesi europei.

Questa proposta ha un grande merito e un grave problema. Il merito è di eliminare dalla discussione l’idea di uno sviluppo fondato sulle attività produttive; in questa prospettiva le aree montane sarebbero destinate a vivere di redditi prodotti altrove, che si tratti di spesa turistica o di rimesse dei pensionati. Il grave problema è nella sostenibilità economica e politica della proposta.

Come si menziona espressamente nell’articolo, i pensionati per essere incentivati al trasloco si aspettano non solo vantaggi fiscali ma anche un livello adeguato di servizi, in particolare sanità e assistenza.

Assicurare questi servizi in aree periferiche e scarsamente popolate è, come noto, più costoso. Occorre quindi trovare una giustificazione per convincere i lavoratori delle città, che magari vivono in un grande palazzone di periferia, sull’opportunità di pagare tasse aggiuntive per finanziare un adeguato livello di servizi ai pensionati che hanno scelto di vivere in un ameno borgo delle Alpi o dell’Appennino. Il numero dei pensionati cresce continuamente e cresce di pari passo la loro forza politica, ma forse non fino a questo punto. Un argomento di convinzione potrebbe essere che in futuro anche gli attuali lavoratori potranno utilizzare questa opportunità.

Argomento alquanto debole considerato che con l’attuale evoluzione demografica sarà difficile assicurare gli attuali trattamenti pensionistici e men che meno una no-tax area generalizzata e con servizi adeguati. Sarebbe più utile discutere delle prospettive delle aree interne partendo da alcuni dati di realtà. Il primo è che queste aree, al pari e più del resto del paese, perderanno popolazione; soprattutto giovani e persone in età da lavoro.

Occorre quindi trovare il modo per assicurare a chi rimane servizi che siano adeguati ma anche compatibili in un’ottica di finanza pubblica e in una prospettiva che non sia di pura assistenza. Ad esempio, privilegiando la telemedicina piuttosto che costosi presidi sul territorio. Il secondo dato di realtà è che le aree montane non sono omogenee e non hanno le stesse opportunità. Nel disegnare e finanziare interventi di sostegno allo sviluppo bisognerà essere selettivi, concentrando le risorse nei luoghi in cui è ragionevole immaginare uno sviluppo produttivo e lasciando le altre alla fruizione ricreativa e turistica.

* Docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore  della Fondazione Merloni

© RIPRODUZIONE RISERVATA