L’accelerazione sociale nei taciti passaggi d’epoca

L’accelerazione sociale nei taciti passaggi d’epoca

di Rossano Buccioni
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Martedì 10 Maggio 2022, 09:10

Nell’omelia di commiato dai fedeli della Diocesi di Pesaro, monsignor Piero Coccia, sociologo, ha offerto alcune riflessioni sul proprio mandato e sul contesto socio-ecclesiale in cui lo ha svolto. “I miei 18 anni trascorsi a Pesaro sono passati velocemente e sono stati segnati profondamente dall’esperienza di un trapasso culturale, sociale ed ecclesiale di eccezionale portata. (…) A livello culturale abbiamo assistito ad un radicale cambio della cifra interpretativa della vita e quindi del suo approccio. A livello sociale, anche se non sempre ne abbiamo avuto piena coscienza, abbiamo vissuto dei passaggi quasi violenti che hanno profondamente modificato la società: crisi finanziaria, immigrazione, l’aumento delle vecchie e nuove povertà e la precarizzazione dei corsi di vita in un quadro sociale di esasperato individualismo”.

Dagli anni ‘80 del secolo scorso i mutamenti sociali, interpretabili alla luce delle logiche evolutive della complessità socio-strutturale, sono stati interessati da importanti effetti soglia, conseguenti a fasi di “amplificazione della deviazione”, tra cui si deve menzionare l’estensione del campo semantico dell’economia, esito immediato del restringimento di quella valoriale. La nostra è diventata una società “sempre più multietnica, multiculturale e multi-religiosa” ed anche se “non c’è un’incompatibilità tra la fede e la società differenziata, i modelli religiosi di vita nella società attuale sono difficili da raggiungere” (N. Luhmann), in quanto l’obiettivo di ogni sistema sociale è la massima autoreferenza nel proprio campo operativo, ottenibile solo rifiutando istanze integranti che impongono dall’esterno modi di essere e di pensare. La disintegrazione morale di “homo mercator” ha comportato la progressiva devastazione individualistica della semiosfera. Il teologo Pierangelo Sequeri sosteneva che “l’individuo capace di farsi prossimo è un adulto degno di sedere nel consesso degli umani; chi è capace di amare solo sé stesso, non osa nemmeno sfidare la forza di gravità della pulsione”.

E’ innegabile come “l’ateismo sorridente e disperato del novissimo Ulisse: l’uomo moderno” (E. Montale) troppo spesso travolga con i suoi paradossi l’esperienza dotata di senso. Se la freddezza razionale si fa cifra interpretativa della società del rischio, viviamo una stereotipia che ci predispone al conformismo ed all’accettazione progressiva di soglie di inumano che ci situano stabilmente ben oltre le nostre capacità di elaborazione razionale del quotidiano. “E quando le tempeste emotive si abbattono sul cuore inaridito, crollano le difese impenetrabili approntate dalla buona educazione e dal coerente allenamento nell’algida palestra della razionalità calcolante” (U. Galimberti). Le apparenze e la rispettabilità dei percorsi di riconoscimento fanno aggio sulla collaudata destrezza nell’indossare maschere e nella precoce abilità nel maneggiare gli strumenti della socialità strumentale e della buona presentazione del proprio self brand.

Però tutto può esplodere a causa dell’estrema compressione della razionalità, mai diluita dall’emozione, del condizionamento mai mitigato dall’appartenenza e dall’obbligo di funzionare, mai affiancato dall’autentica possibilità di esistere.

Le necessarie interconnessioni biografiche che fanno di un essere umano una irripetibile esperienza vivente, sempre più precocemente si arrestano alle soglie di traguardi ambivalenti, socialmente imposti ma resi inattingibili, dentro sfere di azione agognate, ma percepite come irrealizzabili, nella personale incapacità di dare corso ad lternative che ci si presentano come equi-possibili, ma con ciò stesso imprimendo sulla nostra auto-percezione un’ombra di inadeguatezza, relativamente al permanere di limiti del nostro agire e del nostro esperire. Ovviamente, le osservazioni di Mons. Coccia chiamano in causa la collocazione della Religione nella società iper-differenziata. “La religione nella società complessa non può che esistere come sistema parziale: la sua funzione è di rappresentare l’appresentato, ovvero di raffigurare l’indeterminabile”.

La celebre affermazione Luhmanniana ci serve per caratterizzare l’autoreferenza sociale delle dimensioni di senso che da un orientamento ultramondano all’al di la, passano inevitabilmente ad un orientamento mondano all’al di qua (secolarizzazione). Identificando nella sovra-natura la radice del metodo trascendente la religione è a lungo riuscita a trasformare “la complessità indeterminata in complessità determinata”, incidendo fortemente sugli strumenti concettuali di acceso al mondo ed all’uomo. Se la forza dell’agire religioso derivava da Dio – non dall’autoreferenza religiosa: la messa è importante perché si evoca Dio non perché ci si riunisca in Chiesa – è proprio la Religione il sistema sociale meno adatto alla forma della differenziazione funzionale della società, ma anche l’unico destinato a mantenere quella sua specifica funzione.

Il problema della religione - e di una visione dell’umano co-essenziale al sociale - non sta nell’adattamento alla società, quanto nella mancanza di compatibilità con la differenziazione funzionale determinata da sistemi di azione che trovano in sé stessi il senso delle loro operazioni, non in una istanza sovrannaturale che statuisce il sistema sociale dall’esterno. Il passaggio da una società in cui la religione domina nella sfera pubblica ad una società in cui alla progressiva riduzione del suo rilievo pubblico si accompagna l’affermazione del “post-human”, si può considerare un dato acquisito, al prezzo di grandi metamorfosi nel rapporto individuo/società. Al successore di Piero Coccia, Mons. Sandro Salvucci, l’augurio di non sottovalutarne la portata.

* Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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