I fiori calpestati all’Ariston e l’originalità ad ogni costo

I fiori calpestati all’Ariston e l’originalità ad ogni costo

di Rossano Buccioni
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Martedì 14 Febbraio 2023, 01:20

Più volte abbiamo accennato ai paradossi dell’epoca contemporanea tra cui quello della originalità per tutti che fa percepire – in particolar modo i c.d. personaggi pubblici – come portatori di un obbligo esistenziale all’incontestabilità, frutto dell’associazione tra piacere e colpire tipica delle ribalte mediatiche che elevano la specificità umana a cifra distintiva della irripetibilità sociale. In sé questo dato non è una novità assoluta perché è dal Rinascimento che gli elementi che distinguono ego da alter assumono maggior rilievo rispetto a quelli che li associano. L’originalità ad ogni costo sembra la cifra distintiva di certi ambiti comunicativi che più di altri riescono ad amplificare le versioni più pervasive dell’individualizzazione contemporanea, come abbiamo avuto modo di vedere anche nel recente Festival della canzone italiana.

Il parallelo

Certo, chi devasta la cornice floreale del teatro Ariston dovrebbe sapere che esistono potenti dispositivi indisciplinari, in forza dei quali più credi di sentirti libero e più invece ti ritrovi servo. L’ideale dell’essere sé stessi porta, infatti, al rifiuto dei codici sociali di ostacolo alla libera disposizione di sé, con la piena determinazione delle persone ad imporsi che si esprime nel principio della piena affermazione individualizzata. Le sollecitazioni sociali a mantenere l’esperienza personale all’interno del regime morale dell’io-ruolo non sembrano più accettabili perché l’ethos dell’autenticità spinge a ribellarsi alla mole di comportamenti stereotipi che riducono i vissuti a ricapitolazione dell’esistente, minando i principi dell’autonomia soggettiva e della libera sperimentazione del proprio capitale di innovazione comportamentale.

Con l’imporsi della cultura dell’autenticità personale, tutto ciò che determina disagio, blocco delle competenze comunicative e sofferenza individuale - legata alla forzata rinuncia ad una certa immagine di sé - viene denunciato, convocando le macchine consensuali dell’opinione pubblica. Quando a dominare è l’etica della realizzazione soggettiva, diventano più sfumati i limiti tra esperienza autentica ed alluci-nazione imitativa, tra genialità opportunamente espressa ed abilità mimetica a reinventarsi nel magma della rete. Ovviamente è la saldatura tra individualizzazione e mercatismo a garantire la poderosa forza attuativa che conduce al riconoscimento unanime dell’ethos del “be yourself” con l’impressionante estensione, nelle nostre democrazie di massa, di una cultura centrata sul piacere e sull’appagamento immediato del proprio bisogno di benessere. In ogni caso, per il concetto di benessere le cose si fanno più complicate perché a fronte di un incremento di quello individuale si registra una chiara contrazione del benessere sociale, proprio quando è l’ambito strettamente egoico a sanzionare la validità della visione del mondo.

Il soggettivismo

Celebrando la felicità individuale, il godimento delle novità e la vita al presente, il soggettivismo mercatista ha limitato la forza delle norme tradizionali a favore del diritto all’autonomia personale, determinando le traiettorie esistenziali in base al principio del vivere in armonia con sé stessi.

L’ideologia dell’autenticità diventa allora una insidiosa condizione predisponente all’assoggettamento al mercato dei beni, garantendo la rimozione dei vincoli tra-dizionali (di classe di ceto e/o di sesso) ed operando una messa tra parentesi degli antichi principi universalistici che ispiravano gli stili di vita. La ricerca delle mi-gliori strategie di empowerment degli individui è andata di pari passo con la sottomissione ai beni di consumo, consentendo alle raffinate tecniche di condiziona-mento della società dell’opulenza di snaturare il principio politico della libera autodeterminazione. L’ombra paradossale di questo impossessamento di sé operato dall’individuo tardo-moderno consiste nel riscattare in chiave emancipativa proprio quell’ordine economico altrimenti stigmatizzato come fonte di alienazione prima della grande normalizzazione consumista. La coincidenza tra libertà individuale e democrazia economica fa del mercato il principale ambito di legittimazione sociale del principio di libera determinazione di sé. Non si può negare come il diritto ad essere sé stessi, diventi motore libertario di vari movimenti progressisti (femministi, transidentitari, ecc.) che entrano in rotta di collisione con altri movimenti (de-coloniali, cancel culture, ecc.) che rappresentano l’altra faccia della medaglia, cioè comunità aggressive che con pratiche anche intimidatorie si affermano in alternativa al principio della libera affermazione soggettiva.

Il principio del consumo

Nonostante le aspre tensioni tra queste due sfere culturali della soggettivazione contemporanea, resta il principio del consumo a garantire il diritto di esistere alle diverse culture identitarie. Il consumo – compreso quello delle canzonette sanremesi - non è una modalità passiva di assorbimento e di appropriazione perché si è mutato in una modalità attiva di rapporto, non soltanto con gli oggetti, ma anche con gli altri e con il mondo. Diviene un contesto complesso di azione sugli altri e sul sé (self branding) come risposta globale ai criteri di base del sistema sociale. Infatti, gli oggetti sono una condizione necessaria ma non sufficiente del consumo che non è solo un’attività materiale, magari definita dal cibo che si acquista o dall’auto che si guida, ma una strategia di posizionamento comunicativo nella rappresentazione ordinaria della realtà. Per consumare occorre un’attività di manipolazione dei segni in quanto per proporsi al consumo un oggetto deve diventare segno, qualcosa di superiore al solo concreto impossessamento. Sul palco dell’Ariston questa trasformazione è assai rara.

*Sociologo della devianza
e del mutamento sociale

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