Relazione tra società additiva e comportamento giovanile. Foto generica

Relazione tra società additiva e comportamento giovanile

di Rossano Buccioni
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Martedì 11 Ottobre 2022, 03:20

Oggi assistiamo alla lenta trasformazione dei contesti relazionali. Si tratta di un passaggio antropologico assai sfuggente che si impone per il crescente isolamento delle persone le quali vengono costruite all’interno di universi iper-specializzati e solitari di sfida, di gioco/intrattenimento, di ricerca del proprio limite o di informazioni altamente selezionate. Anche le scuole diventano luoghi relazionalmente obliqui; in gergo pedagogico spesso sono concepite come comunità educanti, ma rappresentano pur sempre una stereotipa occupazione per persone giovani, abituate a non essere mai convocate al centro di una strategia, di un interesse sociale generale o di una sua tensione trasformativa. L’addiction (vissuti di dipendenza) nelle scuole sarebbe un fenomeno interessate da indagare, certamente non solo nei suoi risvolti patologici - classicamente intercettati dalle traiettorie dell’intervento sociale - ma in una serie filigranata di vissuti soggettivi a metà strada tra il condizionamento sociale, le derive dei c.d. universi concentrazionari ed il mimetismo adolescenziale, sempre più difficile da decifrare.

La ricreazione è un uno spazio in cui i giovani non riescono ad evadere tutte le possibilità di agire che si presentano loro all’improvviso, in un ingorgo pressorio e semi-compulsivo; spesso consumano il tempo divorandone la dimensione di separazione tra un prima ed un dopo, con un iper-attivismo bulimico che contemporaneamente li porta a mangiare, giocare, ascoltare musica, sfidarsi e ricercare moventi ricreativi, in un costante rilancio di pratiche, attivazioni di dispositivi tecnici e superamento di un non detto oggettivato che una ipotetica, quanto lontana, psiche collettiva sembra imporre con insistenza. E’ con un certo sconcerto che apprendiamo come in un modello di società che sempre più sta propugnando un soggetto autonomo, svincolato da legami di appartenenza di tipo ascrittivo, libero da confini e limiti, si stiano diffondendo nuovi e crescenti comportamenti di dipendenza – patologica e non - in un clima sociale predisponente che potremmo definire di disordinata bulimia diffusa. I giovanissimi iperattivi e multi-consumo di ogni muretto, piazzale e/o ricreazione scolastica sono il prototipo di giovane socializzato ad una idea liberante di sviluppo individuale, ma allo stesso tempo insidiato dalla morsa conformizzante dell’addiction. Nella loro sostenutissima alternanza di azione e reazione, di cibo e gioco, di ansia rimossa per un voto e di cancellazione immediata dei contenuti di una lezione in vista del provvisorio immagazzinamento di quelli dell’ora successiva, i giovani gettano la sorte sulle dinamiche intrinseche del processo di socializzazione, in vista di una Eva (Entrata nella vita attiva) che, passando il lavoro da diritto a privilegio, pur avendo tutto, li relega nelle retrovie del riconoscimento sociale, lontani dalle traiettorie inclusive e trincerati nei labirinti selettivi della propria condizione esistenziale, in quella che l’antropologo Adriano Favole definisce “non-società”.

Incapace di statuire un’alternanza tra contenuti e sedimento esperienziale, tra senso di auto-efficacia ed introiezione delle norme generali, l’esperienza scolastica diviene un moltiplicatore sociale di frustrazione costringendo molti giovani al turnover altalenante tra l’ansia e la noia. Il filosofo Umberto Galimberti faceva notare tra l’altro che finché le nostre classi saranno composte da venticinque o trenta ragazzi, l’educazione propriamente detta sarà impossibile perché con questi numeri non si potranno individuare le qualità dell’intelligenza di ciascun studente, né tantomeno seguirlo nel suo percorso emotivo e sentimentale che risulta di primaria importanza sia per gli apprendimenti che per la formazione interiore dei giovani. Oltre ai comportamenti di addiction noti, assistiamo ad uno sviluppo di nuove forme che si costruiscono in assenza di un oggetto concreto, di un qualcosa che domina il corpo da fuori, modificando e ristrutturando le relazioni e la biologia del soggetto. Le forme di addiction più insidiose si sviluppano sul terreno di una predisposizione contestuale in cui il soggetto è legittimato a non rappresentare una qualsivoglia consapevolezza di agire in modo disapprovato, sanzionabile o rischioso. La stessa categoria di comportamento rinvia ad un possibile/contingente e non alle forme necessitanti di una qualche solidarietà stabile tra corpo e mente. Nella dominanza economica vigente, molti consumatori non si domandano più cosa desiderano possedere, bensì cosa voler provare tra tutte le cose di cui non sono entrati in possesso. Si tratta di una modalità di approccio agli oggetti ed alle esperienze che ricorda il consumo di sostanze, con la motivazione, l’aspettativa e la coazione a ripetere che sembrano conformi alla dittatura morbida dell’addiction. In tali contesti assistiamo all’immersione della persona giovane in dinamiche di appartenenze multiple e deboli, i cui ritmi temporali risultano scanditi dalle logiche sinergiche della velocizzazione e dalla razionalizzazione. Si tratta di giovani intimoriti da qualsivoglia temperie emozionale-sentimentale, intenti a livellare il loro coinvolgimento nelle relazioni su gradienti omeopatici dell’azione (né troppo coinvolgenti, né facilmente neutralizzabili), refrattari ad esporsi all’innamoramento come ipotesi di seria rimessa in discussione della struttura di personalità orientata al suo progressivo assorbimento nel sistema sociale. Freud avrebbe detto che l’essere umano inizia a vivere contro le logiche alla base della vita medesima, in una crescente affermazione del sociale sullo psichico e della separazione tra struttura di personalità e mondi vitali.
*Sociologo della devianza
e del mutamento sociale

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