Se le cose diventano umane e le persone sembrano oggetti

Se le cose diventano umane e le persone sembrano oggetti

di Rossano Buccioni
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Martedì 17 Gennaio 2023, 04:15 - Ultimo aggiornamento: 08:52

Per alcuni secoli, almeno a partire dalla svolta storico-antropologica che conduce alla modernità, i popoli europei hanno vissuto nella certezza di doversi sviluppare, cioè di progredire verso il meglio. C’è chi sostiene che il concetto di progresso sia intimamente legato con quello di “Salvezza” proposto dalla Religione cristiana: sostituendo l’orientamento all’aldilà con quello all’aldiquà, la freccia del tempo (dal passato al futuro) resta la stessa. La crisi della lettura sacrale della realtà, ci ha fatto convincere che lo sviluppo delle conoscenze tecno-scientifiche, unitamente all’ampliamento delle libertà giuridico-politiche, incarnasse la direzione stessa della Storia umana. Oggi, l’osservazione sociale ci restituisce la sensazione inquietante di un mondo in preda ad una vertigine senza controllo.

La società

La società planetaria iper-connessa è fondata complessivamente sulla crescita nel senso che ogni sistema di funzione - interno alla società/mondo - si espande autonomamente, trattano gli altri sistemi sociali come “ambiente”. In condizioni di forte differenziazione sociale, il raggiungimento degli scopi che un sistema di funzione si prefigge è indipendente dalle visioni umane dei protagonisti che si muovono necessariamente al suo interno perché la logica organizzativa generale determina un immediato adeguamento alla visione centrata sull’obbiettivo e non tanto sulle visioni antropologicamente inclini a riconoscere un senso. Albert Einstein era convinto che non possiamo risolvere i nostri problemi attingendo al pensiero che ci muoveva quando li abbiamo creati, riproponendo la questione dell’impossibile risoluzione delle nostre difficoltà con un pensiero convergente, quello che emerge dal contesto in cui si manifestano le difficoltà che dovremmo cercare di risolvere.

Se l’ovvietà di un pensiero divergente capace di dirimere i paradossi che bloccano la società funzionalmente differenziata esattamente sull’interfaccia individuo/società (ritmi di vita disumanizzanti, sostituibilità tecnica degli esseri umani, separazione tra umano e sociale, ecc.) appare unanimemente condivisa, è anche palese la sua improbabilità. Infatti mai come in quest’epoca coesistono visioni del mondo ed ipotesi alternative di lettura della realtà, con i problemi evolutivi dell’ordine sociale differenziato che difficilmente potranno essere risolti da visioni esterne alla presa delle sue dinamiche costitutive. Oggi la direzione del progresso si esprime nella piena liberalizzazione del mercato o nella riscoperta dell’ecologia profonda? E se coincidesse con la preoccupante estensione del disagio sociale? L’esigenza di un pensiero divergente tenta di mitigare il dato che la società anti-umana è una eterogenesi dei fini della società degli umani.

La forma del pensiero

Dunque, sostenere che ci troviamo in un tempo in cui i problemi che incontriamo possono essere risolti solo se modifichiamo radicalmente le forme del nostro pensiero, rasenta l’ingenua dichiarazione di principio, determinata dalla confortante pre-comprensione dell’immutata possibilità dell’essere umano di intervenire sulla realtà costruendola in base a rinnovate esigenze civili.

Però, il rafforzamento costante delle logiche organizzative – che accade a tergo delle intenzioni dei singoli individui - rende vano il richiamo alla volontà di cercare nello slancio del pensiero una nuova forma di organizzazione sociale, magari più rispettosa delle caratteristiche intrinsecamente umane che la nostra civiltà sta indubbiamente smarrendo. Qui si annida la matrice sociale del paradosso che troppo spesso, scaraventa nell’assurdo i più radicati convincimenti delle persone. Suggestive prese di posizione filosofiche richiamano l’esigenza di tornare alla metànoia dei greci, ma la differente struttura sociale alla base della loro venerabile concettualità non sembra paragonabile con il gradiente di differenziazione raggiunto dal nostro mondo. Dovendo ipotizzare improbabili emancipazioni dal mercato - espresse dentro le dinamiche della società di mercato - la prospettiva si fa ancora più scoraggiante.

Un mondo dominato dall'economia

In un volume dal titolo “l’efficienza insignificante”, il filosofo Fabio Merlini argomenta sulla mercificazione della vita e sulla vitalità delle merci. In un mondo dominato dall’economia (nella casa del cittadino medio ci sono quattro volte gli oggetti presenti in una abitazione del primo ‘800), gli oggetti si rinnovano incessantemente, interessando la stessa immaginazione personale e sociale degli individui. Allora, non quale artefatto per quali azioni, ma quali individui performati da quali artefatti, innescando un inedito processo di umanizzazione delle cose e di oggettivazione delle persone. Se l’oggetto diviene protagonista dello spazio sociale di costruzione dei significati, restando debitore della sua natura di artefatto commercialmente destinato ad essere sostituito in un tempo assai breve, avrà delle conseguenze importanti sulla stessa costruzione delle identità, messa in difficoltà dallo scioglimento del sedimento di memoria collettiva pesantemente ridiscusso dalla dominanza economica della società. Il mercato è l’orizzonte estremo di una contingenza (è così, ma potrebbe essere altrimenti; compro questo, ma potrei anche comprare quest’altro, ecc.) che lascia il mio desiderio in balia di ogni occorrenza. Se la sensazione di asfissia culturale del nostro tempo va ricondotta all’impossibilità di liberare il presente, per inventarne di nuovi contro “questo presente” (W. Benjamin), dovremmo intendere la nostra come condizione di asfissia normalizzata, di ricerca di una diversione che ricerchiamo, ma che facciamo fatica ad identificare in orizzonti diversi da quello dell’economia e della tecnica come referenze di sistema destinate ad auto-potenziarsi.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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