L'inferno Covid lungo due mesi e mezzo dell'infermiera Giuseppina: «Che bello stare all'aria aperta»

San Benedetto, l'inferno Covid lungo due mesi e mezzo dell'infermiera Giuseppina: «Che bello stare all'aria aperta»
San Benedetto, l'inferno Covid lungo due mesi e mezzo dell'infermiera Giuseppina: «Che bello stare all'aria aperta»
di Alessandra Clementi
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Domenica 21 Giugno 2020, 04:25

SAN BENEDETTO - Due mesi e mezzo di ricovero, la solitudine, la paura di non farcela ma anche il conforto dei colleghi e di un’intera città che ha fatto il tifo per lei: Giuseppina Straccia l’infermiera del 118 del Madonna del Soccorso che a fine marzo si è ammalata di Covid e nei giorni scorsi è uscita dal tunnel tornando nella sua casa di Cossignano. «Ora bene. Sono tornata a casa venerdì, dopo essere stata al Santo Stefano di Ascoli dove ho affrontato un periodo di riabilitazione» ricorda che sa perfettamente come si è ammalata.

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«Certo che me la ricordo. A fine marzo ho iniziato ad avere la febbre, ma mi sentivo bene, però non passava mai. Non avevo altri sintomi e respiravo bene. Avevo una costante astenia, tanto che i miei colleghi del Pronto soccorso mi hanno invitato ad andare in ospedale. Il tampone è risultato negativo ma continuavo a non stare bene, così mi hanno sottoposto a una Tac e a un broncoaspirato e da lì sono risultata positiva».
 
E a quel punto ha avuto paura «Certo, per me ma soprattutto per la mia famiglia. Il 2 aprile mi hanno portato in Rianimazione dove sono rimasta per 12 giorni e poi a Pneumologia e a Medicina d’urgenza. Il momento peggiore quando mi hanno intubata». Giuseppina sa bene pure quando ha contratto il Coronavirus. «Sì, avevo soccorso una paziente che poi è morta e inizialmente non sapevamo che fosse positiva. Lì c’era stato un contatto e ovviamente il contagio». E’ stato duro il ricovero nel Centro Covid? «Sono stati due mesi e mezzo lunghi. Dove mi ha aiutato tanto il conforto dei miei colleghi, soprattutto quelli del Pronto soccorso che venivano a trovarmi, mi incoraggiavano, in particolare la mia amica Giovanna che mi aiutava a mangiare. Non mi sono sentita mai sola. Mi raccontavano di messaggi, preghiere tutti dedicati a me e questo mi confortava».
La famiglia
«Potevo sentire i miei familiari attraverso il telefono cellulare ed era importante. Inizialmente sono stata preoccupata per loro che hanno dovuto affrontare la quarantena a casa ma per fortuna nessuno si è ammalato. I medici ogni sera si mettevano a contatto con mio marito e i miei figli per raccontargli le mie condizioni, questo aspetto è stato molto importante». Da sola ma con i suoi colleghi e i medici che l’hanno seguita. «Sì, ringrazierò per sempre in primis il direttore generale dell’Area vasta 5, Cesare Milani, i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari dei reparti di Pronto soccorso, Murg, Rianimazione, Cardio Pneumologia, Geriatria riabilitativa, le Potes e il 118. Così gli operatori del Santo Stefano tra medici, fisiatri e infermieri. Ho nel cuore ciascuno di loro e non li dimenticherò mai. In Ascoli vedevo solo gli occhi e gli sguardi degli operatori, non so se rintracciandoli riuscirei a riconoscerli ma per me sono stati fondamentali. Vorrei abbracciare ognuno di loro». 
Il ritorno a casa
«Il ritorno a casa è stato emozionante. Mi stavano aspettando amici e familiari nel cortile di casa. Mi colpisce la sensazione di stare all’aperto dopo questo lungo periodo di ricovero.

Dovrò affrontare controlli e continuare la fisioterapia all’esterno ma l’importante è esserci ed essere tornata. In tanti non ce l’hanno fatta». Un’esperienza che porterà anche nella sua professione di infermiera «Certo, ho capito più di prima, quanto sia importante il rapporto tra malato e operatore nel momento del dolore».

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