Ascoli, il vescovo D'Ercole "scomunica" il decreto: «I preti passano per untori, lesi diritti fondamentali»

Ascoli, il vescovo D'Ercole "scomunica" il decreto: «I preti passano per untori, lesi diritti fondamentali»
Ascoli, il vescovo D'Ercole "scomunica" il decreto: «I preti passano per untori, lesi diritti fondamentali»
di Pierfrancesco Simoni
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Martedì 28 Aprile 2020, 08:45

ASCOLI «È stata una doccia fredda. È riuscito a scontentare un po’ tutti». Così il vescovo di Ascoli, monsignor Giovanni D’Ercole, ha commentato l’ultimo decreto del Presidente del Consiglio Conte con le linee guida per la Fase 2 dell’epidemia da Covid 19 che non permette ancora di celebrare le messe alla presenza dei fedeli.

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Non condivido il contenuto della nuova ordinanza – continua D’Ercole – perché sembra voler screditare la Chiesa, dipingendola come il luogo del contagio e considerano i preti alla stregua di untori. Inoltre, i luoghi di culto sono molto meno pericolosi per chi li frequenta rispetto ai supermercati, alle banche ed alle tabaccherie. Infine, sin dall’inizio dell’emergenza i sacerdoti hanno posto grande attenzione alla salvaguardia delle persone che frequentavano le chiese».
 
«Non dimentichiamo che sono stati i preti i primi ad applicare il distanziamento sociale. Critico fortemente l’atteggiamento del comitato scientifico che hanno supportato la politica nelle scelte maturate per la fase 2: o non conosce la realtà delle chiese o è in malafede».
Monsignor D’Ercole è un fiume in piena e non risparmia le stoccate al governo: «In questa maniera - osserva - si nega al cittadino un diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, che è appunto la libertà di culto. Queste chiusure avvengono solo nei regimi totalitari come la Cina. Il governo italiano avrebbe dovuto dettare alcune linee guida e la Chiesa, al suo interno, le avrebbe applicate perché ha le capacità di farlo». Il Dpcm ammette la presenza di fedeli, con un massimo di 15 unità, soltanto per la celebrazione dei funerali, preferibilmente all’aperto. Le altre funzioni religiose, messa compresa, non possono essere aperte al popolo. Il vescovo di Ascoli è una furia: «Cosa significa solo 15 presenti. Se muore il componente di una famiglia numerosa quale partente deve rimanere fuori? E chi lo decide? Volendo entrare troppo nel dettaglio, il governo si è coperto di ridicolo. Non avrei spento la fiamma della fede in questa maniera. La chiesa tiene aperta la porta della speranza alla gente».
Prove di dialogo
Il premier Conte, a seguito dell’avvelenata nota della Cei, giunta pochi minuti dopo la sua conferanza stampa di domenica sera, ha aperto uno spiraglio al dialogo: si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza. Un gesto distensivo che non fa certo esultare il vescovo D’Ercole: «Va apprezzata l’apertura - conclude - ma è un gesto indispensabile. Alla fine è la politica che deve decidere. Se questo compito viene lasciato agli scienziati non si farà mai nulla. La Chiesa ha la sua autonomia. Ci saremmo subito adeguati per evitare che i fedeli potessero correre dei pericoli, così come abbiamo sempre fatto.

Aver preso una decisione senza prima ascoltare la Chiesa vuol dire che la collaborazione con lo Stato si è interrotta».

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