Quaranta, scenografo da Oscar: «Cinema solo nelle sale, lo streaming è penalizzante come la televisione»

Lo scenografo Gianni Quaranta
Lo scenografo Gianni Quaranta
di Saverio Spadavecchia
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Lunedì 19 Luglio 2021, 08:48 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 05:14

FABRIANO - Si è conclusa ieri la nona edizione del Fabriano Film Fest, con la premiazione dei migliori film presentati durante le giornate dedicate al cinema corto internazionale. Tra i giurati anche il premio Oscar (“Camera con vista” di James Ivory nel 1987) Gianni Quaranta, grande scenografo, per anni legato all’opera di Franco Zeffirelli.

 
Partendo dalla sua esperienza, cosa può consigliare ad un giovane che vuole approcciarsi ad una professione così complessa come quella dello scenografo, magari partendo proprio con un corto?
«Si, quella dello scenografo è una professione complessa. Nelle scuole si apprendono le basi, ma si approfondisce lavorando sul set, seguendo i grandi maestri di scenografia che ci sono e ci sono stati in Italia e non solo. Quando ho capito la mia attitudine, mentre ero all’Accademia di Brera, ho scoperto di aver affinità con l’architetto Renzo Mongiardino, già scenografo di Franco Zeffirelli. Per lui ho iniziato come assistente volontario, apprendendo il metodo di lavoro. Fondamentale quindi l’esperienza pratica, ma non è da trascurare la conoscenza degli artigiani che sappiano realizzare al meglio le proprie idee».


Idee che però a volte devono far i conti con le difficoltà naturali?
«Durante le riprese del “Gesù di Nazareth” di Zeffirelli feci costruire il tempio di Gerusalemme a Monastir, in Tunisia, sfruttando il ribat di Harthema, una fortezza sul mare. Con il costruttore ci siamo impegnati per capire la forza dei venti e tutte le problematiche per permettere alla costruzione di resistere alle intemperie.

Ci fu una tempesta con venti molto forti, ma il nostro tempio rimase in piedi perché prevedemmo tutto».


L’impatto delle nuove tecnologie quanto ha cambiato la professione dello scenografo?
«Noi costruivamo ogni cosa, non c’era l’aiuto del computer. Ad esempio, per realizzare la piazza di Assisi in “Fratello Sole, Sorella Luna” ricostruimmo tutto nel castello di Montalcino con un campanile di 30 metri. Oggi, temo, che il lavoro dello scenografo inizi a perdersi per l’intervento massiccio della realtà virtuale».


La pandemia, la chiusura dei cinema e l’impatto dello streaming può aver fatto perdere d’importanza alla figura dello scenografo?
«Il film si può vedere solo nelle sale cinematografiche. Uno schermo di 20 e più metri permette un modo diverso di pensare la scenografia. Lo streaming fa perdere dettagli e, come la televisione, preferisce primi piani a discapito dei campi lunghi, ed è per questo che non ho mai accettato di far televisione. In “Novecento” ci sono inquadrature che pensate in maniera diversa avrebbero fatto perdere importanza alla storia ed al racconto».


Lei ha citato “Novecento” di Bertolucci, e proprio in quel film lei collaborò con Vittorio Storaro, anche lui premio Oscar ed ospite del Fabriano Film Fest nel 2018. Quanto è importante il connubio tra scenografo e direttore della fotografia?
«Importantissimo. Io con Vittorio avevo un dialogo quotidiano per capire ambienti ed i loro colori. Ricordo una scena, quella del pranzo dei contadini, ho ricreato un ambiente capace di legare tra interno ed esterno».

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