La Musso con Somaglino a Cagli:
«Porto la nascita sul palcoscenico»

La Musso con Somaglino a Cagli: «Porto la nascita sul palcoscenico»
di Elisabetta Marsigli
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Venerdì 16 Marzo 2018, 13:21
Il Teatro comunale di Cagli oggi ospita “Nati in casa”, il monologo scritto da Giuliana Musso e da Massimo Somaglino che narra le vicende di una donna che fu levatrice in un paese rurale di provincia, nel nord-est italiano. Dal suo esordio nel 2001, questo spettacolo è diventato quasi un “documento storico”, rappresentato non solo a teatro, ma anche in università e ospedali.

Giuliana Musso, uno spettacolo che potrebbe definirsi “storico”?
«Assolutamente, ormai lo tratto come un documento, lo tocco a volte delicatamente con i pollici, come un reperto archeologico!».

Qual è il segreto del successo di questo spettacolo?
«Me lo sono chiesta molto spesso: le motivazioni della sua longevità e del fatto che è diventato un “fenomeno popolare”, qualcuno lo ha visto 10 volte, siano prima di tutto il linguaggio garbato, leggero e anche ironico con cui si tratta il tema delle nascite nell’Italia rurale. Ha viaggiato anche fuori dai teatri fino ai convegni delle scuole di ostetricia».

Ma non solo…
«Credo che l’altro aspetto fondamentale sia che ha portato finalmente in scena l’atto esplosivo della nascita: il venire al mondo, da una parte e dall’altra l’atto del partorire. L’evento più importante e meno raccontato nella storia dell’umanità. E’ andato a riempire un vuoto enorme, perché ascoltare il nostro venire al mondo dà un senso alla nostra esistenza: come se qualcuno finalmente ti dicesse che la tua nascita è stata importante! Avere escluso questo aspetto dalla narrazione e dalla condivisione pubblica è stato un grave peccato».

Un evento, quello del parto, che ancora è motivo di apprensione per tante donne?
«Credo abbia avuto anche questa funzione. È diverso ascoltare il racconto di nascita e parto in una relazione a tu per tu o sentirlo all’interno di una comunità come la platea di un teatro: lo eleviamo a fatto che interessa tutti ed è un modo per condividere paure e desideri. La paura messa in circolo si stempera».

Tanti anni e tante repliche e ancora in tournée…
«Credo che siamo arrivati un po’ al capolinea: volevo smettere di farlo già qualche anno fa, ma mi sono fatta coinvolgere dalla necessità pedagogica e politica che si porta dietro questo testo. Oltretutto questo spettacolo l’ho scritto quando avevo 30 anni ed ero credibile come primipara, mentre ora assomiglio di più all’ostetrica…».

Però non ha smesso di fare teatro di indagine e ricerca?
«No, infatti. “Nati in casa” deve la sua fortuna a questo approccio di teatro di indagine: non è nato come manifesto della nascita attiva, ma per essere omaggio al lavoro di queste ostetriche. Mentre lo scrivevo insieme a Somaglino però, ci siamo ritrovati a non saper nulla di come venivamo al mondo e questa curiosità ha fatto sì che il testo si riempisse di questi contenuti, mettendo insieme memoria e teatro di indagine cuciti assieme da un linguaggio di narrazione pura che facilmente si può spostare dal comico alla poesia, al drammatico».
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