Pesaro, l'allarme dei legali per ristoratori e baristi: «Contagi sul lavoro, i datori rischiano. Serve uno scudo penale»

Pesaro, l'allarme dei legali per ristoratori e baristi: «Contagi sul lavoro, i datori rischiano. Serve uno scudo penale»
Pesaro, l'allarme dei legali per ristoratori e baristi: «Contagi sul lavoro, i datori rischiano. Serve uno scudo penale»
di Luigi Benelli
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Lunedì 18 Maggio 2020, 09:35 - Ultimo aggiornamento: 10:08

PESARO - Contagio sul lavoro con il rischio di responsabilità penale per il datore. E c’è chi non apre per paura di finire nei guai con la giustizia. Proviamo a fare ordine nel dedalo di articoli e norme che compongono i decreti. L’avvocato penalista Salvatore Asole ha incontrato negli ultimi giorni alcuni ristoratori e il clima non è disteso. 

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«Non c’è solo il problema delle distanze e della riduzione dei coperti che già costringe baristi, ristoratori ad avere meno fatturato. Ma la potenziale responsabilità del datore in caso di contagio dei dipendenti e la questione della privacy rispetto al conservare i dati dei clienti per 14 giorni per poter incrociare informazioni in caso di contagio. L’Articolo 42 del decreto dice che c’è copertura Inail per Covid, in pratica si equipara il virus a un infortunio sul lavoro. Era stato pensato a tutela di infermieri e medici, in prima linea nei primi giorni di picco. Questo però significa che si va ad accertare cause e responsabilità».
 
«Nel penale - prosegue Asole - la responsabilità è individuale. Dunque si valuterà se il datore si è attenuto alle prescrizioni. Ma come si dimostra che il virus è stato contratto in azienda, al ristorante o al bar? Significa aprire un contenzioso anche coi dipendenti perché i datori potrebbero pretendere un certificato per dimostrare che il lavoratore non è positivo al virus e qui possono iniziare gli scontri. Già con la legge del 2008 si impone al datore accorgimenti per rendere sicuro l’ambiente. Queste nuove norme creano tensione e incertezza. Sarebbe stato giusto ottenere l’indennizzo Inail ma serve uno scudo penale per far sì che il datore sia esente dalla responsabilità penale».

Altro tema la privacy. «Ristoratori e baristi non sono autorità sanitarie dunque non è facile chiedere i dati agli avventori. Per tanto dinanzi al dubbio molti esercenti non apriranno in attesa di chiarezza». Anche l’avvocato penalista Giovanni Orciani ha incontrato tanti ristoratori in questi ultimi giorni e la situazione è più che complessa. «Le norme lasciano troppe incertezze. Il Cura Italia stabilisce che l’infezione da Covid rientra negli infortuni sul lavoro, pur non incidendo sul premio per il datore. Ma occorre pensare al contesto, ovvero una pandemia mondiale dove non è possibile accertare il momento e il luogo di contagio». 

«Eppure - prosegue Orciani - rischiamo di arrivare a un addebito di responsabilità al datore di lavoro quasi automatico. L’Inail è intervenuta con una circolare in cui stabilisce 2 categorie: i dipendenti ad alto rischio perché a contatto diretto con utenza e pubblico. E gli altri a rischio normale. In caso di contagio allora il datore è sotto scacco. Da un lato ci sono effetti civili immediati, con Inail che chiede la rivalsa che portano a coperture assicurative e costi». Quanto alla responsabilità penale per l’avvocato Orciani è difficile circoscrivere il contagio in un contesto di lavoro.

«Ma - puntualizza il professionista in conclusione- se si aprissero i processi, i gestori di piccoli bar e ristoranti subirebbero già la pena del processo stesso, con spese legali che non possono permettersi.

Per questo serve uno scudo penale urgente. Se vogliamo mantenere la copertura Inail da una parte, dall’altra non possiamo lasciare che i datori siano alla mercé dei tribunali. Sono terrorizzati da questo punto di vista e molti non sanno se aprire».

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