ANCONA Quello del liceo Classico può considerarsi un declino inarrestabile? Mentre si impone l’esigenza di perseguire una transizione tecnologica ed energetica, attraverso la preparazione scientifica, le dottrine umanistiche appaiono all’opinione pubblica obsolete e inadeguate a dare alle nuove generazioni strumenti per costruire il futuro. Ma c’è ancora chi continua a considerare la preparazione garantita dagli studi umanistici un volano per gestire il nuovo e il complesso, che avanzano.
I vantaggi
Ne è convinto il professor Luigi Mascilli Migliorini, docente di Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo all’Università Orientale di Napoli, che ha frequentato il Rinaldini ad Ancona. «Nell’epoca contemporanea, due sono i vantaggi degli studi classici. Constato ogni giorno che gli studenti di oggi trovano difficoltà nel padroneggiare la costruzione di un discorso complesso. Non è solo una questione di sintassi, ma di modalità di ragionamento. Noi pensiamo per subordinate, e occorre, per ragionare e prendere decisioni, sapere le regole della consequenzialità. Se vogliamo dominare la realtà, non basta saper usare il digitale». Qual è il rischio per la società tecnocratica? «Che si allarghi la forbice tra quelli che padroneggiano strutture complesse, contaminando saperi, e quelli che non lo sanno fare. In apparenza, oggi vincono quelli che sanno fare bene una cosa, e basta, ma per innovare davvero serve far interagire le discipline».
Il metodo
È quello che sostiene anche Giulietta Breccia, dirigente scolastica del Rinaldini fino a pochi anni fa. «Gli studi classici forniscono un metodo di studio solido, sintetico ma anche analitico, che si può applicare, negli studi universitari, a qualunque indirizzo.
La citazione
«Agli studenti che credono di acquisire una competenza a scuola, mi piace rispondere come fece Derek Curtis Bok: «Se venite qui per imparare una professione, sprecate i vostri soldi». A citare il primo rettore dell’Università di Harvard, è Ivano Dionigi, prof pesarese di Filologia Classica, già rettore dell’Università di Bologna. «La scuola - continua - non deve insegnare un mestiere, ma i fondamentali. Diceva Michel de Montaigne che c’è bisogno di teste ben fatte e non di teste ben piene. Ed è la preparazione classica a consentire di rintracciare un continuum tra il noto, il nostro passato, e il nuovo. Ricordo che Ciampi riconosceva a Scevola Mariotti di avergli insegnato, attraverso la decifrazione di papiri e codici, a orientarsi nei conti dello Stato. Oggi abbiamo bisogno di un “ingegnere rinascimentale”».
Dagli scranni del Senato, l’ascolano Guido Castelli, da poco nominato commissario alla ricostruzione, conferma: «Frequentare il liceo classico ha sviluppato il mio spirito critico, che mi permette di affrontare qualsiasi complessità. Esso è il pavimento della conoscenza».
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