L’assessore Caldarelli: «Quando le estati duravano tre mesi, bagni a mezzanotte e corse in bicicletta»

L’assessore Caldarelli: «Quando le estati duravano tre mesi, bagni a mezzanotte e corse in bicicletta»
L’assessore Caldarelli: «Quando le estati duravano tre mesi, bagni a mezzanotte e corse in bicicletta»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 14 Gennaio 2024, 03:30 - Ultimo aggiornamento: 12:13

MACERATA - Le bottiglie che custodiscono messaggi e bigliettini, affidate al mare e al suo inesorabile fluire, sono una delle forme più alte di poesia e speranza. A loro ci si vota, per lanciare un Sos o per permettere a qualche parola, appuntata su un pezzo di carta, di sopravvivere al tempo, di farsi beffe della caducità della vita, di navigare sull'acqua così come attraverso il tempo, partendo un giorno, dalle mani di chissà chi, e planando anni dopo nella vita di qualcuno che, del tutto casualmente, di quella magia diventa testimone.

È un arrivederci all'oggi e un benvenuto al domani, quando quei messaggi torneranno a galla restituendo la bellezza, la magia, l'incontenibile malinconia di estati felici e sorrisi genuini.

I messaggi

C'è condensato tutto questo nei messaggi che Marco Caldarelli, assessore ai tributi del Comune di Macerata, seppelliva con trepidazione nel giardino della villa delle vacanze estive a Senigallia, «quelle della mia infanzia, con i miei genitori, mia sorella Laura e i nostri cugini.

Le vacanze di quando le estati duravano tre mesi, di quando ci si divertiva con poco e la fantasia trovava sempre un modo per colorare le giornate - ricorda - le estati che terminavano con quel rito preciso: seppellire nel giardino della villa (che ogni anno affittavamo dalla fine della scuola) a poco prima di ritornare sui banchi, palline di plastica che contenevano messaggi e parole nostre, pronti a dissotterrarle l'anno dopo in una caccia al tesoro che rimaneva un appuntamento fisso per inaugurare la stagione». È così che quel giardino, nel cuore e nella memoria, è diventato il mausoleo di estati che, quando si pronuncia la parola infanzia, tornano immediatamente in superficie con la forza prorompente della bellezza. «Erano tre mesi di avventure e mille cose da fare - scherza Caldarelli - le passeggiate all'alba lungo la soffice spiaggia di velluto, i bagni a mezzanotte, le corse a perdifiato in bicicletta, le serate passate in giardino a sparare piombini. E poi c'era la Rotonda sul mare, quella della canzone di Fred Bongusto: per gli altri era famosa per quello che accadeva tra le sue mura affacciate sull'Adriatico, per le serate in cui si riempiva di musica e sorrisi, per la vitalità che la investiva come un vortice. Per me e la mia ciurma, invece, il vero divertimento era ai suoi piedi, tra le fondamenta che affondavano nell'acqua, alla ricerca delle cozze e delle forme di vita che animavano quegli anfratti bui eppure così brulicanti di scoperte e avventure». Ogni luogo, ogni angolo, ogni via della Senigallia dell'infanzia è attraversata da quel fiume sotterraneo di meraviglia. Un flusso incessante, che scorre ancora oggi e arriva ai piedi dei simboli della città, come la sua rocca, «altro luogo del cuore - ride Marco - più e più volte siamo andati in esplorazione nei suoi circondari, arrivando addirittura a partorire il piano diabolico di entrare nella fontana antistante per pescare le monetine che i turisti e i passanti lanciavano per propiziarsi la sorte: per fortuna desistemmo, ma fu dura abbandonare l'idea e la sferzata di adrenalina che portava con sé». La città di allora, però, non era solo la sua villa affacciata sul mare, le sue strutture e gli spazi tutti da vivere e colonizzare. Era anche una carrellata infinita e magica di volti e personaggi, «come i caroselli in macchina la sera in cui l'Italia vinse i Mondiali dell'82 - ricorda Marco - la città si riempì di auto, di clacson impazziti, di bandiere e persone festanti. E poi quell'immagine di ragazzi seduti sui finestrini degli sportelli posteriori delle macchine.

Il quadro

Del quadro che riemerge aprendo la bottiglia dei ricordi, fanno parte anche volti di personaggi rimasti scolpiti nel cuore e nella mente. «In primis il proprietario della villa - sentenzia Caldarelli - mi ricordo che viveva nel seminterrato e aveva un Maggiolino Volkswagen color azzurro che non guidava mai ma che lucidava costantemente e curava come fosse un figlio. E poi - fa una pausa densa di pathos - c'era lui, il giardiniere: alto, segaligno, con i suoi ciabattoni e un aspetto burbero che però non corrispondeva affatto alla sua reale simpatia, aveva l'abitudine di agguantare noi ragazzi e raccontarci storie oscure di fantasmi e misteri vari, con una teatralità che gli consegnava un'aura seria e lo faceva sembrare una creatura da palcoscenico teatrale».

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