Uno dei più importanti dibattiti degli ultimi anni riguarda come potenziare il settore turistico nell’ambito di un’economia sostenibile. L’Italia, con 8700 km di costa e una ricchezza di paesaggi costieri e borghi storici senza pari al mondo, ha senz’altro nella bellezza dei propri mari e nei beni culturali (pensiamo ai quattro parchi archeologici marini) due risorse fondamentali per il futuro del turismo blu legato al desiderio di conoscere meglio e valorizzare in modo sostenibile il mare e la sua biodiversità. L’economia del mare è in forte ascesa, lo dimostra anche il nuovo Ministero del Mare. Gli acquari, a partire dai primi costruiti alla fine del XIX secolo a Berlino e a Napoli, hanno da sempre svolto questa funzione: attrarre un grande pubblico curioso e far conoscere la vita del mare. Il mondo degli acquari pubblici ha subito importanti rivoluzioni tecnologiche e una grande espansione negli ultimi decenni. Basti pensare all’Acquario di Genova, di Valencia e di Lisbona che attraggono milioni di visitatori ogni anno con un indotto economico molto importante. Nell’era post-Covid, le visite agli acquari sono esplose raggiungendo numeri senza precedenti in tutti gli acquari italiani a partire da quello di Genova, il secondo più grande d’Europa che ha toccato 1.400.000 visitatori (record assoluto della sua storia), a quelli di più piccole dimensioni come quello di Cala Gonone in Sardegna o di Livorno in Toscana che registrano tra i 60 e 120.000 spettatori. Per non parlare di Milano che ha anch’essa un visitatissimo acquario comunale. Nuovi acquari stanno sorgendo ovunque dall’Arabia Saudita al Marocco, dalla Croazia alla Cina. La tendenza più recente a livello globale è quella di sviluppare acquari più piccoli e legati alle tematiche di ricerca, quindi più facili ed economici da gestire e più efficaci per spiegare a un grande pubblico i problemi che affliggono i mari e la loro biodiversità. Ad esempio, la Fondazione Packard che sostiene l’acquario di Monterey Bay in California ha investito milioni di euro per la creazione di piccoli acquari scientifici (“water table”) per poter far vedere da vicino ai visitatori cosa fanno quotidianamente i ricercatori. Si tratta di una svolta importante che potrebbe favorire quelle città di mare con un forte collegamento con il sistema della ricerca e della divulgazione ambientale. Viene quindi spontaneo pensare ad Ancona, per cui il tema della realizzazione di un acquario è dibattuto da decenni. Ricordo l’esistenza di un progetto dai primi anni ’90. Ogni decennio, la proposta viene riesaminata senza trovare progettualità o una seria intenzione politica. Nel frattempo, l’Acquario di Napoli è stato completamente restaurato, è nato un progetto per l’Acquario di Trieste e a breve aprirà anche un piccolo Acquario a Fano. È un peccato che questa idea non sia stata presa in considerazione per Ancona, soprattutto nell’ambito dei finanziamenti del PNRR in quanto si tratterebbe di una tematica certamente coerente con lo sviluppo di una Green & Blue Economy capace di incrementare il turismo della regione e al contempo di fornire altre opportunità economiche. Peraltro, un acquario andrebbe anche a rafforzare la dimensione “Blu” della città che da troppo tempo soffre di una mancanza di progettualità. Un acquario ad Ancona sarebbe utile per le sinergie con il Porto di Ancona, il quale ha nei propri piani lo sviluppo di una portualità anche per le grandissime navi da crociera, valorizzando la presenza degli importanti flussi di passeggeri e offrendo loro l’occasione di visitare la città e di soggiornarvi e non solo transitarvi (facendo così felici gli albergatori e il settore indotto).
*Professore ordinario all’Università Politecnica delle Marche titolare dei corsi di Biologia Marina, Ecologia ed Etica ambientale