ANCONA - Spinta dalla forza della disperazione, ha preso carta e penna per liberare con l’inchiostro la sua angoscia. Una lettera carica di pathos e rabbia, ma anche di speranza, indirizzata al capo dello Stato. Si è rivolta al Mattarella presidente e professore, avvocato e nonno d’Italia, per chiedere ascolto, comprensione e «l’aiuto delle istituzioni affinché il problema del bullismo, fenomeno dilagante, non venga più sottovalutato».
La firma è di Patrizia Guerra, la mamma-coraggio che si sta battendo per portare ad Ancona i City Angels, i custodi della sicurezza al fianco dei più deboli.
Su quest’ultimo episodio si sono concentrate le indagini dei carabinieri, ma lo scarso contributo delle telecamere rende tutto più complicato. Uno degli aggressori, nella colluttazione, ha sbattuto contro un cartello stradale e ha perso sangue: le analisi ematiche, però, esigono tempo. Ma è dura chiedere di pazientare ad una mamma che, adesso, si sente nel mirino insieme al figlio, dopo aver sporto denuncia ed essersi esposta pubblicamente. «Ci hanno minacciati di morte sui social e ora ci stanno pedinando», ha raccontato. Ma le intimidazioni non la fermano, anzi. Mossa dal coraggio e dalla disperazione, ha deciso di affidare i propri tormenti ad una lettera-appello rivolta al Presidente della Repubblica. «Da ormai due anni viviamo un’odissea senza fine: mio figlio è stato aggredito per tre volte e in due occasioni è finito all’ospedale», scrive nella missiva in cui ripercorre le tappe di un incubo che non lascia in pace la sua famiglia.
L’angoscia si trasforma in frustrazione, dettata da un senso insopportabile di impotenza, nel momento in cui la mamma-coraggio ammette di sentirsi indifesa e non adeguatamente tutelata. «Sappiamo chi sono, ma non c’è modo di fermarli: i tempi della giustizia sono troppo lunghi e mentre loro sono liberi di uscire, continuando a seminare terrore tra gli adolescenti, noi siamo costretti a chiuderci in casa», racconta al presidente Mattarella, con il tono di chi si confida ad un amico e vorrebbe ricevere conforto. «Le denunce, purtroppo, non sono bastate», è l’amara constatazione della signora Patrizia che si fa carico del dolore di tante mamme che, a differenza sua, non hanno trovato il coraggio di esporsi, di metterci la faccia. Due cose chiede al capo dello Stato: giustizia e tempi celeri, nella speranza che gli aguzzini di suo figlio vengano identificati e fermati. «Prima una condanna severa, poi la rieducazione»: dovrebbe funzionare così, in un Paese democratico. E invece, i delinquenti sono liberi e impuniti. «Mentre noi abbiamo paura ad uscire di casa».
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