Claudio Pinti, l'untore Hiv, scarcerato, l'ira delle vittime. Tutto in mano al Pg: «Valutiamo la possibilità del ricorso»

Claudio Pinti
Claudio Pinti
di Federica Serfilippi
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Giovedì 6 Maggio 2021, 07:55

ANCONA  - «Stiamo valutando la possibilità del ricorso». Così il procuratore generale delle Marche Sergio Sottani sull’eventualità da parte del suo ufficio di impugnare il provvedimento con cui la Corte d’Appello ha concesso a Claudio Pinti la possibilità di lasciare il carcere di Rebibbia per sottostare alla misura cautelare dei domiciliari. Un cambiamento totalmente osteggiato dalle parti civili in causa, Romina Scaloni (la donna che tre anni fa ha denunciato il 38enne jesino) e i familiari di Giovanna Gorini, ex convivente di Pinti morta nel 2017 e madre di sua figlia. 

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Se la procura dovesse impugnare la decisione dei giudici di secondo grado, a quel punto la palla passerebbe al Tribunale della Libertà. I magistrati, nel corso di un’udienza a porte chiuse, saranno chiamati a decidere sulla legittimità della modifica della misura cautelare, chiesta e per ora ottenuta dal difensore di Pinti, l’avvocato romano Massimo Rao Camemi. A sollecitare l’intervento del procuratore Sottani sono stati gli avvocati che tutelano le vittime: Alessandro Scaloni per Romina, Elena Martini e Cristina Bolognini per i familiari di Giovanna. 

Con due istanze separate hanno espresso l’illegittimità e l’inammissibilità del provvedimento dei giudici di via Carducci nei confronti dell’uomo che, per aver trasmesso l’Hiv alle sue ex compagne, è stato condannato fino al secondo grado di giudizio a 16 anni e 8 mesi di reclusione per lesioni gravissime e omicidio volontario.

Il ricorso per Cassazione è pendente: l’udienza si terrà il 10 settembre. «A nostro avviso – hanno detto i legali Martini e Bolognini – permangono le esigenze cautelari, tenendo conto della pericolosità a tutto tondo del soggetto e della possibilità della reiterazione del reato. I nostri assistiti sono scoraggiati e sconcertati, hanno paura».


Si legge nell’istanza fatta arrivare in procura: «Nessuna parola di scuse o conforto per i familiari di Giovanna. Ora la sostituzione della misura cautelare è un duro colpo per la famiglia Gorini, la paura che Pinti possa minacciare l’incolumità della collettività e soprattutto possa attentare alla vita di chi l’ha denunciato è forte. Pinti è pericoloso per la collettività e per i familiari della vittima, ondivago nel difendere e poi abbandonare le proprie idee negazioniste per ottenere benefici». Pinti, se dovesse andare ai domiciliari, avrà il permesso di potersi recare all’ospedale di Torrette (senza scorta) per tenere sotto controllo la sua patologia. In quello stesso nosocomio è costretta ad andare Romina. Sul suo profilo social ha postato un video dove esprime tutto il suo disappunto e terrore per la scarcerazione dell’uomo che lei stessa ha denunciato dopo aver scoperto di aver contratto l’Hiv. 


«La cosa folle è sapere che sarà visitato all’ospedale di Torrette di Ancona. Forse i giudici non hanno pensato che l’hanno autorizzato ad andare da solo e liberamente all’ospedale per curarsi, lo stesso ospedale dove vado io, grazie a lui che m’ha trasmesso l’Hiv» le parole di Romina che ha anche detto di «essere ripiombata in un incubo». «Dove è la giustizia che dovrebbe tutelare le vittime, non i carnefici?» ha continuato nel corso del video, lungo poco più di tre minuti. 


Nel provvedimento per la modifica della misura cautelare è stato scritto come «il cospicuo lasso di tempo trascorso in custodia carceraria, unito al definitivo abbandono degli atteggiamenti negazionisti da parte dell’imputato, oggi disposto ad assumere le terapie previste per la sua patologia, tanto da essere sensibilmente migliorate le sue condizioni di salute generali, compongano un quadro tale da potersi considerare ridimensionato il pericolo di reiterazione delle condotte illecite» di Claudio Pinti. 

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