Claudio Pinti, l’untore esce dal carcere. L'ira delle vittime: «Non si è mai pentito, una decisione inaccettabile»

Claudio Pinti
Claudio Pinti
di Federica Serfilippi
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Mercoledì 5 Maggio 2021, 04:20

ANCONA  - Un’istanza inviata al procuratore generale Sergio Sottani affinché impugni il provvedimento con cui la Corte d’Appello ha concesso i domiciliari con il dispositivo elettronico a Claudio Pinti, il 38enne condannato sia in primo che in secondo grado a 16 anni e 8 mesi di reclusione per aver trasmesso l’Hiv a due ex fidanzate, tra cui Giovanna Gorini, morta nel 2017.

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A presentare il documento è stato ieri mattina Alessandro Scaloni, l’avvocato che assiste Romina Scaloni, la donna che nel maggio 2018 ha denunciato Pinti.

L’imputato, finora relegato a Rebibbia, potrà uscire dai domiciliari solo per recarsi in ospedale. «Pinti – si legge nell’istanza - non ha mai dimostrato pentimento per quanto è accaduto, né ha mai inviato lettere di scuse alle parti civili o formulato proposte risarcitorie. I suoi comportamenti, ivi compresa la protesta attuata da Pinti ed il presunto sciopero della fame, risultano spinti da interessi esclusivamente personali ed egoistici, di certo non sufficienti a ritenere definitivo l’abbandono delle teorie negazioniste».


L’avvocato Scaloni: «Ritengo incomprensibile la decisione della Corte d’Appello anche alla luce dell’orientamento che era stato espresso fino ad ora (già due volte erano state respinte le istanze di scarcerazione, ndr). Decisione che non considera gli interessi della Scaloni, donna che oggi si trova costretta ad accettare il rischio di poterlo incontrare nell’ospedale in cui è obbligata a recarsi a causa di quella stessa persona che potrà raggiungere Torrette liberamente, senza scorta. È inaccettabile».

Analoga istanza per chiedere l’intervento del procuratore Sottani verrà presentata da Elena Martini e Cristina Bolognini, legali della famiglia Gorini: «Ci siamo sempre opposte – hanno detto - alle richieste di scarcerazione e mai ci saremmo aspettate un provvedimento del genere da parte della Corte d’Appello. I familiari di Giovanna sono rimasti basiti: non bisogna mai dimenticare che una giovane donna è morta per i fatti contestati. Il fatto di poter andare nello stesso ospedale di Romina, senza alcuna autorizzazione o scorta, è un’offesa alla vittime di questa vicenda. Per noi persiste ancora la possibilità della reiterazione del reato e, tra l’altro, l’abbandono delle teorie negazioniste sarebbe avvenuto in un lasso di tempo discutibile, dato che nel rigetto della penultima istanza si era palesata un’altra situazione». 

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