Bucchi fa le carte a Torres-Ancona: «I sardi primi non a caso ma i dorici hanno ritrovato l'identità. Colavitto? Scossa decisiva»

Bucchi fa le carte a Torres-Ancona: «I sardi primi non a caso ma i dorici hanno ritrovato l'identità. Colavitto? Scossa decisiva»
Bucchi fa le carte a Torres-Ancona: «I sardi primi non a caso ma i dorici hanno ritrovato l'identità. Colavitto? Scossa decisiva»
di Peppe Gallozzi
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Mercoledì 8 Novembre 2023, 17:36

Una partita molto particolare per Christian Bucchi quella che si giocherà domenica, a Sassari, tra Torres e Ancona. Perché da una parte, all'ombra del Conero, è rinato come calciatore dopo il momento più difficile della sua vita (la morte della compagna a pochi mesi dal matrimonio) quando si trovava a Cagliari. Dall'altra, a Sassari, ha conquistato le prime gioie da mister in panchina conducendo la Torres a un'incredibile salvezza nel 2015. E' quindi un doppio ex speciale l'attaccante romano, forgiato nelle Marche tra San Benedetto e San Severino prima di segnare in tutte le categorie, oggi allenatore in attesa di una nuova chiamata dopo l'esperienza di Ascoli chiusa anzitempo lo scorso anno.

Bucchi, un match per lei diverso dagli altri
«Potete dirlo forte, un miscuglio di emozioni».

Ancona cosa ha rappresentato in carriera?
«La mia rinascita nel 2004.

Arrivai a fine mercato di gennaio, in Serie A, e nonostante una retrocessione annunciata timbrai 12 presenze e cinque gol. Ero reduce da una fase devastante e i colori biancorossi mi aiutarono a ripartire. Ricordo il calore e la presenza del pubblico nonostante l'ultima posizione, il 3-2 al Bologna di Mazzone. Ho militato poco ma Ancona me la porto nel cuore per mille ragioni».

E sarebbe anche rimasto in B.
«Avevo firmato per cinque anni, proprio per testimoniare la mia gratitudine. Quell'estate, durante il ritiro, avevamo una rosa clamorosa. Davanti io, Ganz, Pandev, Rapajc con Vavassori alla guida. Poi purtroppo arrivò il fallimento societario e ognuno prese le sue strade».

La Torres è un altro legame profondo.
«Fu di fatto la prima, vera, avventura profonda da tecnico dopo un po' di rodaggio tra Pescara e Gubbio. Subentrai a gennaio 2015 con la squadra in difficoltà per sostituire Vincenzo Cosco che ebbe gravi problemi di salute (morì qualche mese dopo, ndr). Raggiungemmo una salvezza esaltante».

Guardando a ora, verrebbe da dire che i sardi non sono in testa per caso
«No. Hanno un grande spirito di appartenenza, un ambiente caldo e diversi giocatori locali che sentono la maglia in modo maniacale. Oltre all'organizzazione di gioco ormai collaudata».

L'Ancona ha i mezzi per colpire?
«Ne ha tanti. Con il Perugia ha fatto vedere contropiedi micidiali e una struttura che può mettere nei guai chiunque. Bene i due esterni, Cioffi ed Energe, ma anche la fisicità nel mezzo che possono garantire Saco e Nador».

Del ritorno al timone di Colavitto che idea si è fatto?
«Ha dato la scossa decisiva. Con il suo 4-3-3 tutto sembra essere tornato al proprio posto, sette punti in tre gare non si fanno così facilmente. Penso al 3-0 all'Arezzo, dopo cinque minuti, sembrava che la squadra fosse sempre stata sua».

Cosa intende?
«Che l'Ancona ha ritrovato la sua identità costruita nelle annate precedenti. Non so cosa sia accaduto con Donadel, non sono all'interno e non posso giudicare, ma quella di prima non era la formazione che eravamo abituati a vedere. Colavitto conosce il contesto, i dirigenti, i calciatori. Sa bene quello che deve essere fatto, senza inventarsi nulla. E poi diamo tempo a Kristoffersen, un attaccante con quei centimetri può essere molto utile come alternativa a Spagnoli in determinati momenti o partite».

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