POLVERIGI - La giornata di apertura di Inteatro 2023, a Polverigi, culmina con “Scarto”, il progetto con cui Masako Mitsushita ha vinto il bando OpenCall2023. La serata inizierà con “I am a problem” di Simone Donati, a Villa Nappi, per proseguire con il work in progress “Insel”, di Ginevra Panzetti ed Enrico Tacconi, al Teatro della Luna. E qui, alle 22, debutta la performance della italo-giapponese, che affronta la tutela dell’ambiente, mettendo in dialogo, e a confronto, la fisicità del corpo e le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Partendo dallo “scarto”.
Perché, Masako Mitsushita?
«Perché è un termine dalle tante accezioni, da quella di liberare dalla carta, come avviene con un dono o una caramella, allo scarto della carta che non serve, sul tavolo verde. Ma soprattutto, l’atto di affidare le cose vecchie alla discarica, o rifiutare le persone, insomma allontanare quello che non ci serve. Invece, ogni “scarto” può continuare a essere una risorsa».
Quindi, riuso e riciclo, in linea con il tema di Inteatro 2023, la salvaguardia dell’ambiente.
«Trovo che non sia ancora maturata nelle coscienze di tutti l’idea che si può valorizzare quel che tendiamo a scartare, rimettendo materiali e cose in uso, in circolo, in un ciclo vitale».
Come è organizzato lo spettacolo?
«Si tratta di un lavoro di squadra, ideato con Matteo Maffesanti, un artista visivo che ha collaborato con l’associazione Sineglossa, e con la piattaforma Italia che cambia. Ha rielaborato numerose interviste, realizzate sui temi dell’integrazione e della sostenibilità ambientale, affidate all’intelligenza artificiale da docenti e tecnici della Politecnica Marche».
E lei, in scena, danza?
«Anche, ma non solo. Quello che mi emoziona è che “Scarto”, pensato per essere rappresentato nelle palestre delle scuole, per sensibilizzare gli studenti all’ambiente, per la prima volta entra a teatro. Mi incuriosisce verificare come sarà accolto da un pubblico diverso dai giovani. Mi auguro che aiuti a riflettere gli adulti di un’Italia anziana, che ha bisogno di dare più spazio alle nuove generazioni. Un incoraggiamento ad accettare e promuovere i cambiamenti».
Di che colore è lo scarto?
«Argento. E panna: è la tinta della canapa di tessuti vecchi di almeno 80 anni, che uso in scena, forniti da Cristina Camponi, poi rielaborati dalla Eticò Sartoria Marchigiana. Presunti scarti, che tornano a vivere».
Com’è cominciato il suo percorso con la danza?
«Nata a Pesaro, da padre giapponese e madre italiana, ho vissuto qui fino all’età 22 anni, frequentando diverse scuole, dopo che, a 4 anni, mi sono innamorata della ginnastica artistica. Ero anche iscritta al corso di arpa al Conservatorio, ma la musica resta solo un hobby. Poi ho avuto una lunga formazione a Barcellona, alla scuola Paolo Grassi di Milano, e al Trinity Laban di Londra, una scuola molto strutturata, complessa e tecnica, che mi ha dato l’impostazione. Dopo avere aperto una galleria d’arte ad Amsterdam, ho partecipato a vari progetti europei. Poi, sono tornata a Pesaro, perché qui si vive bene».
E dell’educazione giapponese di suo padre, cosa l’ha influenzata di più?
«Credere che anche gli oggetti hanno un’anima.
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