Inteatro, strada della ricerca. Chiusura con Castellucci: «Il teatro ha una quinta parete, è la percezione dello spettatore»

Romeo Castellucci mentre visita la mostra fotografica alle Muse sui suoi spettacoli con Socìetas Raffaello Sanzio
Romeo Castellucci mentre visita la mostra fotografica alle Muse sui suoi spettacoli con Socìetas Raffaello Sanzio
di Lucilla Niccolini
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Lunedì 14 Giugno 2021, 12:55

ANCONA - Argan sosteneva che l’arte è un fenomeno che si fa forma. Ce l’ha ricordato il pittore Carlo Cecchi sabato, intervenendo all’incontro con Romeo Castellucci, con cui si è chiuso ad Ancona Inteatro Festival 2021. Ha così involontariamente accreditato come “arte” questa edizione. Dopo un anno di stop, è tornata a Polverigi e al teatro delle Muse una manifestazione “storica”, con una dimensione compatta e coerente.

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L’aveva preannunciato Velia Papa, direttore artistico nonché fondatrice, con Roberto Cimetta, di Inteatro: «Questo festival propone una radicale revisione dei punti di vista». E indica strade, percorsi, linguaggi che, se non inediti, sono stati seguiti e indicati dai protagonisti con chiarezza. A volte ingenui, talaltra fin troppo giudiziosi e puntuali, perlopiù incisivi e indicativi di una direzione verso la quale va la ricerca teatrale contemporanea.


L’understatement
E l’intervento, in finale di partita, di uno dei drammaturghi italiani più “scandalosi”, Romeo Castellucci, è stato il sigillo più efficace. Con la consueta asciuttezza, e l’understatement di chi non deve dimostrare niente, dialogando sabato al Ridotto delle Muse con Velia Papa, il fondatore della Socìetas Raffaello Sanzio ha piantato alcuni paletti indelebili. «Altro che quarta parete. Il teatro ne ha una quinta, che è la percezione dello spettatore, pellicola vergine, ignota, che viene impressionata e dà un senso, ogni volta diverso, a quel che guarda. È lui, lo spettatore, il monarca, come Filippo IV nel quadro “Las meninas” di Velázquez. Il pittore ci mostra non quello che vede lui stesso, accanto al cavalletto, ma quello che si presenta alla coppia regale riflessa nello specchio alla parete di fondo».

E ha continuato: «L’artista, secondo Heidegger, è un inventore di problemi, consegnati al pubblico come un dono». È successo, in questa edizione di Inteatro. Fin dall’inizio, quando i Sanpapiè ci hanno accompagnato, danzando, nella visita guidata del Roccolo di Polverigi: credevamo davvero di conoscere la nostra terra? L’ha dimostrato Ludovico Paladini, in “Tales of FreeDoom”, studio per una ricerca sul movimento dell’uomo a confronto con gli antenati e gli animali. E più ancora Nicola Galli, in “Il mondo altrove”: saga ancestrale che indaga nelle pulsioni dell’uomo delle origini.


Il Duo Kaos, con “Horizonte”, e T.H.E Dance Company di Singapore, con lo strepitoso “PheNoumenon 360°”, sondano il mistero del rapporto del corpo con la gravità e con le sovrastrutture del progresso, dalla ruota alle calzature. Per di più, la visione di quest’ultimo spettacolo, in differita con il visore VR, ha suscitato nello spettatore la meraviglia di “entrare” nella danza, di percepire sulla pelle le vibrazioni dei corpi.


Gli interrogativi
Con tante parole (Europeana), e poi soprattutto con gesti e relazioni (Atlante linguistico della Pangea), i Sotterraneo ci hanno interrogato sulla nostra percezione delle mille facce della comunicazione. E ci hanno proiettato in un mondo globale, di cui solo la pandemia ci ha rivelato, negli ultimi mesi, la portata e le conseguenze letali. È stato infine il docu-spettacolo di chiusura, “Teatro Amazonas” di AzkonaToloza, a mettere noi “occidentali” di fronte alla responsabilità di cambiare, finalmente, punto di vista sull’abuso che facciamo della natura.

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